Dal Senato 11 giugno 2008

Comunicazioni del Ministro dell'istruzione, università e ricerca sugli indirizzi generali della politica del suo Dicastero  

 

Il PRESIDENTE introduce la seduta, dando il benvenuto al ministro Mariastella Gelmini che interviene per la prima volta ai lavori della Commissione.

Il ministro GELMINI chiarisce anzitutto di aver chiesto di tenere separate le dichiarazioni programmatiche in ordine all'Istruzione e all'Università e ricerca, in considerazione dell'importanza che assegna al confronto con le Commissioni parlamentari. I due settori, pur avendo senz'altro per protagonista il medesimo soggetto, presentano infatti una complessità e una diversità di linguaggi che meritano l'esercizio di un duplice sforzo.

Avviandosi ad illustrare gli intendimenti del Governo in materia di Istruzione, ricorda anzitutto che il Santo Padre non ha esitato a parlare di recente di "emergenza educativa" quale punto di maggiore debolezza della società contemporanea. La medesima espressione è stata poi richiamata nel dibattito sulla fiducia al nuovo Esecutivo da parlamentari di entrambi gli schieramenti. Essa non si affronta tuttavia a suo giudizio solamente con nuovi contenuti e nuove metodologie, pur utili, ma con valori condivisi e, pertanto, convincenti per i ragazzi in quanto testimoniati da adulti.

Dopo aver manifestato il proprio apprezzamento per la saggezza e l'esperienza del Presidente della Commissione, ella illustra poi gli intendimenti del Governo volti a fronteggiare i gravi e complessi problemi della scuola.

Al riguardo, ella rammenta anzitutto che i quindicenni italiani risultano, nelle comparazioni internazionali, tra i più impreparati d'Europa in ambito matematico, scientifico e della lettura, anche se i risultati cambiano in relazione alla tipologia di scuola e all'area geografica. Né va dimenticato che i risultati sono invece di eccellenza con riferimento alla scuola elementare. Ritiene quindi che le soluzioni non possano essere indifferenziate, ma occorra superare la vecchia e deleteria logica centralistica che non tiene conto delle specificità territoriali. Al contrario, reputa che il nuovo ruolo delle Regioni, così come individuato dal riformato Titolo V della Costituzione, congiuntamente alla piena attuazione della "legge Moratti" e al necessario rafforzamento dell'autonomia scolastica, debbano rappresentare una sorta di federalismo all'insegna della sussidiarietà. I maggiori sforzi devono poi essere indirizzati in direzione della maggiore criticità ed in particolare al Sud, dove i bassi livelli di apprendimento, la povertà e il degrado sociale costituiscono senz'altro un male da estirpare. L'esperienza degli ultimi 150 anni dimostra del resto che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento delle sue enormi potenzialità

l’Italia potrà considerarsi pienamente nazione. A tal fine invoca uno scatto d’orgoglio nazionale, ritenendo che l’Italia possa e debba risalire la china.

Analogamente, reputa che il Paese non possa rassegnarsi di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica, garantendo alle nuove generazioni la disponibilità di tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro.

Purtroppo però i criteri selettivi seri e rigorosi sono venuti via via scemando e si registra un’enorme dispersione di capitale umano per fronteggiare la quale il Paese chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola.

In tale prospettiva, ella non giudica sufficiente elevare sulla carta l’obbligo scolastico, né condivisibile semplificare i processi di apprendimento. Al contrario, immagina una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, senta come uno strumento utile e necessario.

Quanto agli insegnanti, ella rammenta che i loro stipendi sono drammaticamente inferiori rispetto alla media Ocse. Si augura quindi che la legislatura in corso veda uno sforzo unanime affinché essi siano adeguati agli standard internazionali. A tale scopo, giudica indispensabile aggredire le cause di iniquità del sistema, mediocre nell’erogazione dei compensi, nei risultati e nelle speranze. Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema ha del resto prodotto un esito, osserva, che né i sindacati, né i partiti, né la società italiana possono condividere: stipendi inadeguati, nonché tramonto della cultura del merito e del senso della scuola.

Quanto alle riforme, ella sottolinea criticamente come per anni si sia affidata all’approvazione parlamentare di leggi di sistema la speranza di migliorare la scuola, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi.

Ella ritiene invece che il sistema abbia bisogno prevalentemente di buona amministrazione e di buon governo, di semplificazione e di chiarezza.

Prende quindi l’impegno a proporre modifiche legislative solo laddove strettamente necessario, a contenere l’irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, a favorire l’adozione di criteri generali e Indicazioni nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio e preservando quanto di positivo fatto dai Governi precedenti. In quest'ottica, precisa di non aver ritirato la cosiddetta "circolare Fioroni" sul recupero dei debiti scolastici, nonostante ciò le fosse chiesto da più parti e le avrebbe garantito una facile popolarità, preferendo modificare soltanto gli aspetti che le sembravano troppo dirigistici, senza cambiarne la sostanza. Questi anni hanno dimostrato del resto, rileva, che non c’è alternativa possibile al ritorno nella scuola dell’impegno e del rigore.

Ella lamenta poi che per anni si sia pensato che l’abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti da un lato, offrendo dall’altro lato agli insegnanti qualche garanzia in più che compensasse la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni né gli altri e di trasformare la scuola in un enorme ammortizzatore sociale. Inoltre, è stato mortificato il senso di responsabilità dei docenti,  livellando le loro retribuzioni verso il basso. L'assenza di qualunque prospettiva di carriera ha così tenuto lontani dalla scuola tantissimi giovani preparati, che avevano la vocazione all’insegnamento, ma che hanno scelto altre strade non solo meglio retribuite, ma con migliori prospettive.

Onde rovesciare questi criteri, ritiene indispensabile sciogliere il nodo della rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale, che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli pur essenziali.

Passando al tema delle risorse, si dichiara consapevole dell'esigenza di un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica.

Il precedente Governo, ricorda, aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa nel settore scuola, che i conti dello Stato e la situazione economica internazionale impongono di proseguire.

Per migliorare concretamente il sistema scolastico in Italia non si può peraltro eludere, prosegue, il tema dell’autonomia e dell’assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Autonomia e valutazione sono infatti due facce della stessa medaglia, né si può rendere piena l’autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi, in trasparenza, come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.

La meritocrazia è un sistema di valori che promuove l'eccellenza indipendentemente dalla provenienza sociale, etnica, politica ed economica delle persone; il merito non è quindi una fonte di disuguaglianza, ma all'opposto uno strumento per garantire pari opportunità, ed a tal fine deve essere valutato oggettivamente.

Passando al tema della parità scolastica, ella rammenta che la legge n. 62 del 2000, varata dal Centro-sinistra, ha istituito un sistema pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole statali e scuole paritarie, gestite da privati.

Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo è, a suo avviso, la risposta alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino.

I modelli finanziari fin qui sperimentati costituiscono, prosegue il Ministro, un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle famiglie. Annuncia peraltro che le scelte del Governo in proposito saranno sottoposte al pieno dibattito parlamentare per arrivare ad un risultato equo e condiviso.

A questo proposito, ritiene peraltro interessante valutare le soluzioni che non solo i Governi nazionali via via succedutisi hanno messo a punto, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione del problema.

Ella sottolinea poi l'esigenza di condividere gli obiettivi, richiamando il manifesto-appello che recentemente hanno promosso numerose associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti. Nel riferirsi altresì alle aspettative del mondo della scuola, dell’imprenditoria, delle Regioni e degli enti locali, nonché alle risultanze del "Libro bianco sulla scuola" redatto nella scorsa legislatura, individua nell'autonomia, nella valutazione e nel merito i grandi temi su cui il Paese aspetta una risposta e su cui intende promuovere un proficuo dialogo con il Parlamento. In tale ottica, si augura di poter registrare una convergenza anche con l'opposizione e di avviare una "legislatura del buon senso", come già aveva indicato l'ex ministro Fioroni. Registra in proposito il costruttivo impegno del ministro ombra Mariapia Garavaglia, che ringrazia fin d'ora.

Nel soffermarsi sul tasso ancora troppo elevato di precoce abbandono degli studi, ella sottolinea poi l'esigenza di dimostrare agli studenti e alle famiglie che i diplomi non rappresentano un pezzo di carta ma il biglietto per un futuro migliore, disincrostando una società immobile ed iniqua in cui lo studio non riesce a rappresentare un effettivo fattore di promozione sociale.

Cogliendo l'occasione del rinvio operato dal precedente Governo al 1° settembre 2009 della piena applicazione della riforma Moratti, ella sollecita quindi il Parlamento e la società intera a dare una prova straordinaria di produttività, creando le premesse per una formidabile preparazione di base ed una effettiva personalizzazione dell'istruzione.

Quanto al primo aspetto, ritiene che le tre I (inglese, internet, impresa) non possano andare a discapito della quarta (italiano), che deve essere approfondita senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei "progettifici". Ritiene quindi che le Indicazioni nazionali debbano essere concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nelle parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, sempre con l'obiettivo dell'eccellenza.

Quanto alla personalizzazione dell’istruzione, reputa che la leva principale sia nell’interazione tra autonomie scolastiche, docenti, studenti e famiglie.

Con riferimento specifico alla scuola secondaria di secondo grado, richiama anzitutto il rapporto della cosiddetta "commissione De Toni" sull'istruzione tecnica e professionale. Al riguardo, comunica che l'intenzione del Governo è di portare tutto il sistema alla "serie A", assicurando ad ogni segmento una pari dignità.

In quest'ottica, il dibattito sulla cosiddetta "scelta precoce" si trasforma a suo avviso nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada, superando la concezione classista per cui il liceo è di "serie A", l’istruzione professionale e tecnica di "serie B", il sistema regionale delle qualifiche di "serie C".

Ancora una volta, ribadisce, la risposta sta nella personalizzazione dell'istruzione. L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di sopprimere le propensioni individuali imponendo ad ogni adolescente di percorrere la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione.

Nello stesso spirito di una scuola che sia realmente per tutti, il Ministro afferma poi il diritto all’istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono infatti essere personalizzati e coerenti, a suo giudizio, con le abilità di ciascuno. Al riguardo, richiama le molte buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni, di cui ritiene occorra far tesoro.

In tal senso, assicura il suo impegno ad ascoltare le esigenze, le criticità e le proposte delle famiglie al fine di individuare percorsi flessibili, che superino le rigidità in contrasto con l'azione educativa.

Ella sollecita poi un'efficace collaborazione fra scuola e famiglie in termini di "cooperazione corresponsabile". Solo in questo modo è possibile infatti a suo avviso affrontare le difficoltà di apprendimento, lo scarso rendimento scolastico, l'abbandono degli studi, l'inconsapevolezza delle regole, l'abuso di sostanze stupefacenti che si trovano alla base di fenomeni antisociali quali la microdelinquenza  e il bullismo.

D'altra parte, osserva peraltro che troppo a lungo si sono delegate alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, la quale rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative.

Quanto ai fenomeni migratori che coinvolgono centinaia di migliaia di adulti e  di bambini, ella osserva che il primo obbligo è quello di insegnare loro la lingua italiana e la Costituzione della Repubblica. Ciò, al fine di non escludere quote sempre più ampie di alunni extracomunitari nelle classi i quali, pur con competenze proprie, risultano penalizzati dalla barriera linguistica.

Né l'alfabetizzazione letteraria può essere disgiunta da quella civile, sia per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità italiana, che per i giovani italiani. Al riguardo, rammenta la meritoria iniziativa di Aldo Moro di introdurre nelle scuole lo studio dell’educazione civica, cui ritiene doveroso restituire un ruolo centrale.

Avviandosi alla conclusione, il Ministro ricorda il manifesto-appello elaborato prima delle elezioni da un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza (Gruppo di Firenze), che dichiara di fare proprio nell'ispirazione ai criteri di merito e responsabilità, nel richiamo ad una scuola più qualificata ed efficace ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento, nonché nell'esigenza di restituire ai docenti il prestigio e l'autorevolezza del loro ruolo.

In tale ottica, invita tutte le forze politiche a una grande "alleanza per la scuola", che restituisca al Paese la speranza. Dichiarandosi ottimista ed assicurando il proprio impegno più completo nello sforzo di ricostruzione della principale infrastruttura italiana, rinnova dunque l'invito a uno scatto d'orgoglio da parte di tutti, che non ceda alla tentazione della rassegnazione.

(da http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=303047)

Dal Senato 17 giugno 2008

Il ministro GELMINI sottolinea preliminarmente come l'università e la ricerca, congiuntamente all'istruzione, rappresentano l’infrastruttura del sapere e risultano efficaci solo se interconnessi l’uno all’altro.

Reputa peraltro che università e ricerca siano fattori indispensabili di sviluppo della comunità nazionale, sicché è strategico eliminarne le criticità.

Nel ricordare che nel recente passato il sistema formativo italiano, pur con i suoi limiti, era in grado di formare ed esportare capitale umano di eccellenza, afferma poi che il recupero di tale capacità nell’attuale contesto sociale ed economico passa o per una gestione più fortemente centralizzata del sistema universitario, con regole uguali per ogni ateneo, ovvero per la valorizzazione delle rispettive specificità.

Analogamente a quanto avviene in molti Paesi caratterizzati da sistemi universitari di eccellenza, ella propende per la seconda opzione. La filosofia cui intende informare l’azione del Ministero resta pertanto immutata, fondandosi sul trinomio autonomia, valutazione e merito.

Sul piano legislativo, ella rileva altresì che nel corso di questi ultimi anni si sono stratificate una serie di norme, che hanno volta a volta interrotto e contraddetto ipotesi di riforma anche coraggiose proposte dai Ministri che si sono succeduti, da Antonio Ruberti, cui rivolge un commosso ricordo, a Letizia Moratti.

Si impegna quindi a dotare, entro il termine dei cinque anni di legislatura, il mondo dell’università e della ricerca di regole certe e condivise, attraverso testi unici che non siano la sommatoria di norme già esistenti, ma che al contrario eliminino la legislazione in eccesso, che spesso impedisce l'efficace dispiegarsi delle disposizioni migliori.

Quanto al ruolo dei giovani, ella rammenta che proprio su di loro ricade il vizio di una società ancora troppo ingessata, gerontocratica e refrattaria a riconoscere il merito, tanto che solo il 15 per cento dei dirigenti, l’8 per cento dei professori associati e l’1 per cento dei professori ordinari ha meno di 40 anni.

Si impegna quindi a investire seriamente sui giovani talenti, coinvolgendoli nella progettazione di un futuro che li riguarderà da vicino.

Ella lamenta poi che l'attuale panorama universitario sia assai poco internazionale, con una presenza di studenti, ricercatori e docenti provenienti dall’estero decisamente insufficiente.

Quanto al modello del "3+2", osserva che se da un lato ha consentito di aumentare il numero dei laureati, da più parti è messo sotto accusa per aver innescato un processo di licealizzazione prolungata e una proliferazione di corsi e indirizzi che non ha eguali negli altri Paesi europei. Assicura quindi di voler proseguire la rigorosa attività di monitoraggio e di razionalizzazione dei corsi avviata dai suoi predecessori.

Con riferimento alle risorse, rileva che il Fondo per il finanziamento ordinario (FFO) è basato in larghissima parte sullo "storico" e alimenta bilanci rigidi, senza che una percentuale significativa delle risorse sia destinata a premiare il merito e l’eccellenza.

Manca inoltre un collegamento stretto con il mondo del lavoro, soprattutto per quanto riguarda le lauree di durata triennale, si registra una scarsa valorizzazione dell'apprendistato professionalizzante finalizzato a garantire uno sbocco che sfrutti le competenze maturate e non si può sottacere la scarsa percentuale di iscrizioni ai corsi di laurea scientifici.

Ella deplora indi il drammatico sottofinanziamento del comparto ricerca, che registra una percentuale di investimento pari all’1,09 per cento rispetto al prodotto interno lordo, contro una media Ocse del 2,26 per cento.

Considera perciò suicida la persistenza di un’arretratezza così evidente nell’investimento più utile per la crescita e per la promozione sociale e rammenta al riguardo che diciassette delle migliori venti università al mondo si trovano negli Stati Uniti, non a caso caratterizzati dal più alto tasso di mobilità sociale.

Accanto all'aumento delle risorse, occorre a suo giudizio migliorare la gestione della spesa, vincolandola alla responsabilità, ai risultati conseguiti ed eliminando sprechi e inefficienze. Pertanto, lo sforzo finanziario aggiuntivo deve essere collegato ad un rinnovamento dei metodi di spesa, innalzando almeno al 20 per cento la quota degli stanziamenti destinati a premiare i migliori.

In ordine alla leva finanziaria, pur registrando che l'Italia si colloca pressoché al livello di altri Paesi quanto a fondi pubblici, giudica inammissibili il ritardo di pubblicazione dei bandi, la lentezza con cui i risultati vengono valutati nonché il tempo di corresponsione effettiva dei contributi. Pertanto assicura il suo impegno affinché sia valorizzata l’opera dei ricercatori, anche attraverso una burocrazia efficiente e una distribuzione delle risorse rapida, giusta ed equa.

Per quanto concerne l’investimento privato, rileva con rammarico non solo che le grandi imprese, salvo rare eccezioni, investono poco, ma che il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato da piccole e medie imprese, le quali fanno fatica ad accantonare fondi da investire per la ricerca, nonostante la grande propensione all’innovazione registrata dalle statistiche. Manifesta quindi la volontà di elaborare, di concerto con gli altri Ministri, meccanismi di agevolazione per le piccole e medie imprese che coordinino i loro investimenti, come ad esempio crediti di imposta, defiscalizzazioni, nonché di promuovere un maggior coinvolgimento delle fondazioni bancarie, del no-profit e delle associazioni di categoria.

Nel sottolineare che il problema delle risorse riguarda anche le università, alle quali si è garantita l’autonomia senza però chiedere conto dei risultati, stigmatizza i frequenti casi di spesa senza controllo, di sforamento dei tetti previsti riguardo, ad esempio, la quota massima del 90 per cento del FFO in ordine al personale. Prosegue inoltre ricordando che il Governo è disponibile ad azioni di sostegno nei confronti degli atenei che versano in una situazione di avanzata esposizione finanziaria, secondo piani pluriennali concordati di rientro dall’indebitamento, purchè essi siano vincolati ad una rigorosa, responsabile e virtuosa gestione della spesa.

Ribadisce indi l'esigenza di rendere piena ed effettiva l'autonomia degli atenei, nella consapevolezza che occorrono soluzioni accettate e condivise, nel quadro di regole che consentano premiare la qualità e l’eccellenza. Al riguardo, evidenzia la necessità di stipulare un patto di stabilità, individualizzato per ogni singolo ateneo, al fine di  valorizzare ogni singola specificità.

Dopo aver precisato l'intenzione di focalizzare l'esposizione introduttiva su alcuni temi per lasciare uno spazio maggiore al dibattito, si sofferma su alcune sfide del sistema, quali l'autonomia e la responsabilità, la valutazione, il reclutamento, il welfare studentesco, la governance, l'eccellenza, nonché la riforma degli istituti di ricerca.

Sottolineando l'estrema varietà del comparto università e ricerca, nel quale convivono atenei di diversa propensione e dimensione, centri di ricerca pubblici e privati e consorzi, reputa fuorviante cercare di ridurre tale diversità ad un tutto unico, giudicando invece essenziale rendere detto patrimonio una forza.

Nel richiamare l’articolo 33, comma 6, della Costituzione, ribadisce la necessità di rafforzare il legame cruciale tra l'autonomia e la responsabilità, in quanto ciò comporta la possibilità di essere premiati o sanzionati per le scelte rispettivamente vincenti o sconvenienti che si sono operate.

Soffermandosi inoltre sulla competizione, ritiene che essa sia in grado di animare la scienza, la democrazia e il mercato, e afferma che la natura pubblica del sistema non presuppone la provenienza statale dei soggetti che vi partecipano. Ciò costituisce un traguardo anche con riferimento al dibattito sulla parità scolastica, oltre  che al comparto dell’università.

Auspica dunque che, per un sistema virtuosamente competitivo, si raggiunga la parità delle condizioni finanziarie delle strutture pubbliche e private che rispettino alcuni severi requisiti, evitando di relegare l’iniziativa privata per lo più in spazi residuali, destinati magari alla creazione di aree di eccellenza, ma anche di privilegio sociale. Coglie indi l'occasione per precisare che in tale quadro non trovano spazio i cosiddetti esamifici, verso i quali l’atteggiamento del Ministero sarà di assoluto rigore.

Per raggiungere gli obiettivi anzidetti, prosegue, occorre elevare i criteri di accreditamento delle strutture universitarie, sulla base di parametri oggettivi e certificabili, quali le esigenze del territorio, la capacità di autofinanziamento, l’adeguatezza dei corsi di laurea rispetto agli obiettivi formativi, la composizione del corpo docente, nonché l’idoneità tecnica delle strutture.

Con particolare riferimento alla valutazione e alla trasparenza, giudica essenziale premiare le università virtuose secondo il principio del merito e della responsabilità ed incoraggiare quelle meno virtuose all’adozione di politiche migliori. Per fare ciò, manifesta l'intenzione di puntare alla valutazione dei risultati, che attualmente risente di uno stato di incertezza normativa.

Ripercorre poi le vicende che hanno condotto il precedente Governo ad istituire  l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)  che risulta tuttavia ancora non operativa, per via dei rilievi del Consiglio di Stato. Dopo aver puntualizzato che la Corte dei Conti, peraltro, ha registrato con riserva il relativo regolamento istitutivo, ritiene che l’ANVUR sia stata concepita come una costosa struttura ad alto tasso di burocrazia e rigidità, destinata a controllare anche i più piccoli meccanismi, caricata di compiti eccessivi.

Esprime dunque la volontà di modificarne la disciplina, nella prospettiva di assicurare al mondo dell’università e della ricerca un sistema integrato di valutazione, che vincoli il finanziamento ai risultati, incentivando l’efficacia e l’efficienza dei programmi di innovazione, la qualità della didattica, lo svolgimento di corsi in lingua inglese, la capacità di intercettare finanziamenti privati ed europei, il tasso di occupazione dei laureati coerente col titolo di studio conseguito. Occorre peraltro a suo avviso preservare la specificità di ogni protagonista del comparto, nella cornice costituita comunque da esperienze internazionali consolidate e da paradigmi riconosciuti dalla comunità scientifica.

Comunica poi che è allo studio una proroga degli organismi vigenti (destinati ad essere soppressi in concomitanza con la piena operatività dell'Agenzia) onde non interrompere la valutazione delle università e degli enti di ricerca, beneficiari di finanziamenti pubblici. In futuro, oltre alla doverosa attività effettuata a livello centrale dall’Agenzia indipendente, sarà del resto necessario incoraggiare anche la valutazione plurale, spontanea e quotidiana, che viene svolta tanto dagli studenti e dalle famiglie in occasione della scelta dell’ateneo da frequentare, quanto dalle imprese e dalle fondazioni che si rivolgono al settore.

Nel rimarcare l'essenzialità di tale "valutazione dal basso", ribadisce l'esigenza di redigere regole trasparenti e di assicurare la pubblicità e l'accessibilità di tutte le informazioni anche attraverso l'utilizzo di strumenti informatici, onde consentire l'affermazione di un sistema pienamente meritocratico.

Con particolare riguardo al reclutamento, fa presente che nei prossimi cinque anni è previsto un ricambio del 47 per cento del corpo docente. Segnala in proposito due anomalie dell'Italia quali, da un lato, l’anzianità dei professori ordinari e associati e, dall’altro, lo scarso numero e l'inadeguata retribuzione dei ricercatori.

Quanto al primo aspetto, reputa inaccettabile che l'università favorisca le progressioni di carriera locali piuttosto che l’ingresso di forze nuove, mantenendo in vita un sistema duplicemente impermeabile, rispetto ai giovani studiosi italiani e agli esperti stranieri. 

Quanto al secondo, dà conto della ristretta fascia di ricercatori e dottori di ricerca, che configura un modello più simile a un cilindro che ad una piramide. In particolare, rammenta che nella finanziaria del 2007 è stato previsto un finanziamento di 40 milioni di euro per il 2008 e 80 per il 2009 per coprire un congruo numero di posti. Il provvedimento era subordinato, però, all’emanazione di un regolamento, che tuttavia non ha visto ancora la luce, in quanto ha ricevuto il parere negativo della Corte dei Conti. In proposito, nella piena consapevolezza dell'urgenza di emanare entro il giugno 2008 i relativi bandi, comunica che il Ministero sta elaborando interventi tempestivi per evitare il blocco nell’accesso alla carriera accademica di tanti giovani e il mancato stanziamento dei fondi.

Comunica altresì che intende prolungare sino al 30 novembre i bandi per i concorsi da ordinario e associato, auspicando che su tali provvedimenti si registri un consenso condiviso.

Giudica inoltre insufficiente la retribuzione dei ricercatori rispetto alla media europea e a quella Ocse, per cui si rende necessario un maggiore investimento di risorse affinché i ricercatori universitari siano più numerosi e meglio pagati.

Tiene peraltro a precisare che è stata finalmente data applicazione all’emendamento del senatore Valditara all'ultima finanziaria in ordine all’aumento di 240 euro mensili per le borse di dottorato. Al riguardo prospetta l'esigenza di una riforma del dottorato improntata alla riduzione del numero dei corsi, ad un carattere più intensivo della ricerca, nonché ad una più radicale internazionalizzazione, nella direzione di un più stretto collegamento tra il mondo dell’impresa e quello dell’università.

Quanto alle nuove regole di reclutamento per professori e ricercatori, comunica che sono in corso di elaborazione, con il contributo del Consiglio universitario nazionale (CUN), procedure snelle e credibili, che assicurino la meritocrazia e l'autonomia dei singoli atenei, basate innanzitutto su una verifica nazionale di idoneità riconosciuta da parte della comunità scientifica nel suo complesso. All’interno di una lista di idonei, che includerà gli studiosi italiani o stranieri che lavorano all’estero, prosegue il Ministro, le università sceglieranno autonomamente il candidato che ritengono più capace e più adatto ad attirare finanziamenti dalle imprese e iscrizioni degli studenti. Ciò determinerà a suo avviso una crescente internazionalizzazione dell’università italiana, che sarà più permeabile alle energie di quanti, italiani e non, lavorano all’estero, e una progressiva eliminazione dei "tetti".

 

Nell'assicurare che, in base al principio dell’autonomia responsabile, le università saranno libere di chiamare anche docenti che non provengano strettamente dal mondo accademico, pone l'accento sul rigore che caratterizzerà i predetti meccanismi di selezione, a cui dovrà seguire un adeguamento delle retribuzioni anche attraverso trattative individuali.

Il Ministro si sofferma indi sulla governance, a cui fa eco la capacità di rispondere delle proprie scelte, della verifica e del controllo, rimarcando che è intenzione del Governo approfondire proposte provenienti da alcuni atenei. Una governance responsabile si basa del resto su grande libertà di organizzazione, su un minore peso della burocrazia nonché sull’accentuata individualizzazione dei rapporti contrattuali. A tal fine, occorre l’introduzione di nuove figure in grado di garantire il successo organizzativo degli atenei e indirizzate a reperire finanziamenti esterni, limitando il ruolo dello Stato alla fissazione di alcuni paletti e allo svolgimento di un controllo rigoroso e trasparente.

Evidenzia altresì l'esigenza di incoraggiare la crescita delle comunità studentesche, disincentivando peraltro lo scandaloso e crescente sfruttamento degli studenti spesso costretti ad affitti elevatissimi e fuori mercato, mediante la creazione di nuovi collegi da realizzare con la partnership delle Regioni. Su tale ambito intende instaurare un confronto con il Consiglio nazionale degli studenti universitari.

In ordine alla creazione di un nuovo welfare studentesco, richiama gli articoli 3 e 34 della Costituzione, rammaricandosi che essi siano stati attuati solo parzialmente e auspicando che sia attivato tempestivamente un coordinamento con le Regioni e gli enti locali che porti ad una maggiore considerazione dello studente, il quale costituisce una risorsa, soprattutto per le città universitarie. Reputa inoltre essenziale incentivare la pratica dei prestiti d’onore, rendendo l’erogazione più facile e di maggiore entità.

Con particolare riferimento ai centri di eccellenza, giudica positivamente lo strumento delle scuole a statuto speciale, secondo l'impostazione dell'ex ministro Moratti, la quale aveva inaugurato un proficuo tavolo di confronto, di cui comunica la prossima riattivazione.  

Tali realtà rappresentano, a suo avviso, un modello per stimolare la nascita di altri poli di eccellenza specialmente nel Mezzogiorno, coinvolgendo consorzi universitari, fondazioni, centri di ricerca e attirando fondi privati. Ciò anche al fine di formare della classe dirigente del Paese facendo tesoro della positiva esperienza del corso-concorso per dirigenti pubblici bandito un decennio fa.

Rivendica poi i compiti di regia e di coordinamento del Dicastero su tutte le attività di ricerca che si svolgono o si progettano nel sistema Paese, nella prospettiva di potenziare le connessioni con la ricerca internazionale, in primo luogo europea, puntando ad una riorganizzazione del comparto, ad una razionalizzazione delle risorse, nonché all’istituzione di nuovi criteri di valutazione e di coordinamento.

Pone dunque in rilievo le dimensioni orizzontale e verticale della ricerca italiana, facenti leva rispettivamente sull'università, gli enti di ricerca speciali pubblici e privati, e sui Dicasteri interessati da un lato, e sui rapporti istituzionali tra l'Europa, lo Stato, e gli enti locali dall'altro.

Evidenzia in particolare la necessità di porre fine a duplicazioni e incoerenze di indirizzo e di obiettivo, onde valutare realisticamente gli effetti negativi di queste dinamiche in termini competitività del sistema e di sostenibilità economica.

Si rammarica poi del debole ruolo di coordinamento attivo fino ad ora svolto dal Ministero, sottolineando l'esigenza di compiere un lavoro di sistematizzazione degli enti di ricerca italiani, verso i quali è già stata ipotizzata presso l'altro ramo del Parlamento un'apposita indagine conoscitiva.

Nel rimarcare l'intenzione di procedere alla completa spoliticizzazione degli enti di ricerca, puntualizza che i relativi vertici saranno nominati con metodologie neutrali come ad esempio search committee di livello internazionale rigidamente vincolati, nel loro mandato, al raggiungimento di obiettivi.

Rammentando l'iter di adozione, in sede comunitaria, della Carta europea dei ricercatori e del Codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, lamenta il ritardo nel recepimento della raccomandazione europea, che comporta conseguenze disastrose dal punto di vista tanto dello status giuridico, quanto del reclutamento e della retribuzione. Al riguardo dichiara quindi che si impegnerà per sollecitare il recepimento della normativa comunitaria.

Dopo aver manifestato la volontà di proseguire il programma di "rientro dei cervelli", si sofferma altresì sul Piano nazionale della ricerca e sul trasferimento tecnologico, auspicando con riguardo al primo che possa instaurarsi un confronto proficuo fra le forze politiche, anche tenendo conto delle esigenze dei soggetti interessati.

Ritiene inoltre che il settore pubblico debba puntare a progetti di ricerca di medio-lungo periodo, in un contesto di migliore allocazione possibile delle risorse in relazione ai vincoli di bilancio. Nel porre in rilievo l'importanza delle tecnologie definite abilitanti, come ad esempio le biotecnologie e le nanotecnologie, fa presente che occorre dare spazio anche ai settori chiave dell’agroalimentare e delle fonti energetiche rinnovabili.

Comunica indi che il Ministero intende promuovere un ruolo attivo della ricerca italiana nell’ambito della European Technology Platform (ETP), costituitasi su incoraggiamento della Commissione Europea, al fine di individuare gli obiettivi strategici di medio e lungo termine per lo sviluppo tecnologico a livello nazionale.

Illustra poi la nascita, a partire dal 2006, delle piattaforme tecnologiche italiane (PTI) e di gruppi di supporto a sostegno del Knowledge-Based Bio-Economy (KBBE),  anche rispetto ai quali occorre assicurare una sinergia tra il settore pubblico e il settore privato, senza che ciò si traduca in una subordinazione della ricerca al mercato. La ricerca infatti ha una sua valenza sociale e può mettere in moto un circuito virtuoso di competizione e di innovazione.

Affinché il processo possa avvenire in modo efficace, prosegue il Ministro, sono necessarie normative chiare per la definizione dei diritti di proprietà industriale, con meccanismi di incentivazione per i ricercatori che producono invenzioni, nonché strutture qualificate ed adeguate presso i principali centri di ricerca, in grado di gestire in modo professionale tutte le fasi del technology transfer.

Lamenta del resto l'assenza in Italia di una cultura e di strutture per il trasferimento tecnologico, ribadendo come sia indispensabile potenziare il dialogo tra i settori pubblico e privato, nella direzione di una valorizzazione dei progetti congiunti, come ad esempio i distretti e i parchi tecnologici.

Avviandosi alla conclusione, rimarca la rilevanza, nella formazione post laurea, dei percorsi miranti alla formazione di manager specializzati in questa direzione, nonché dei concetti chiave di autonomia, valutazione, merito, semplificazione legislativa e centralità dei giovani, in attuazione dei quali si realizza il futuro del Paese. Si augura infine che la Commissione collaborerà alla realizzazione di questo fine comune attraverso un confronto continuo e costruttivo.

da: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=304295

 

 

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