Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Disegno di legge

 

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

(1251) CORTIANA ed altri. – Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione

PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 1306 e 1251.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 3 ottobre il senatore Asciutti, relatore, e la senatrice Soliani, relatrice di minoranza, hanno integrato le relazioni scritte.

MANCINO (Mar-DL-U). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

MANCINO (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge si caratterizza essenzialmente sul punto di una richiesta di delega al Governo a fini di carattere generale, per definire norme generali sull'istruzione e sui livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

Non vi è dubbio che sul piano generale il Governo abbia titolo per chiedere la delega, tenendo però conto della distinzione fra disciplina di una materia a competenza esclusiva del Governo e disciplina di princìpi fondamentali in materia di legislazione concorrente. È in discussione anche un terzo punto che richiama l'articolo 117 della Costituzione, come novellato, per quanto riguarda soprattutto il concorso del Governo nell'emanazione di norme regolamentari.

Il mio intervento si colloca all'interno di un'eccezione pregiudiziale di costituzionalità, perché vi sono palesi invadenze da parte del Governo nei confronti della legislazione di merito regionale, come ci sono da parte dello stesso esecutivo tentativi di appropriazione di materie di esclusiva competenza del Parlamento.

L'impianto dell'articolo 117 della Costituzione, come novellato, ribalta le competenze: attribuisce allo Stato competenze esclusive, enumerandole, e riconosce alle Regioni una competenza residuale generale. Residuale generale significa che, espressa o meno, c'è una presunzione di competenza da parte delle Regioni, mentre prima della riforma la presunzione apparteneva allo Stato nella sua complessità.

Ora, non ho alcun dubbio che il Governo abbia titolo ad emanare norme delegate dal Parlamento per questioni che riguardano materie di stretta competenza dello Stato. Non ho nessuna obiezione da muovere sulla competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda i livelli essenziali delle prestazioni; ci troviamo però di fronte ad una problematica che non viene per la prima volta all'attenzione del Parlamento. La legislazione che va da novembre 2001 a oggi si è sviluppata nel senso di fare proprie le tesi governative per quanto riguarda le deleghe, ma le deleghe nelle materie a competenza concorrente fra lo Stato e le Regioni non sono possibili da parte del Parlamento a favore del Governo.

L'articolo 76 della Costituzione fa un chiaro riferimento ad una competenza propria del Parlamento; perciò desidero citarlo: "L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di princìpi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". Ora, mi chiedo: possiamo ritenere funzione legislativa delegabile al Governo quella che con chiaro intento del Costituente dell'epoca, confermato nella novella relativa all'articolo 117, è materia concorrente? Cioè, come fa il Governo a disciplinare i princìpi generali fondamentali della legislazione concorrente spogliando completamente il Parlamento?

Infatti, l’ammettere nella delega la possibilità che le Commissioni possano esprimere un parere è limitativo dell’attività del Parlamento; io avrei potuto capire (pur restando sempre contrario in via di principio alla delega al Governo) che, in materia di legislazione concorrente, l’ultima parola spettasse al Parlamento, ma non attraverso pareri consultivi, bensì vincolanti. Ma i pareri vincolanti delle commissioni non sono ipotizzabili. Perciò, niente delega.

Il Governo non può utilizzare un potere proprio del Parlamento e disciplinare la legislazione concorrente di merito delle Regioni, ritenendo in questo modo di accentrare, quindi di recuperare una funzione nazionale che invece il nuovo articolo 117 della Costituzione ha distribuito, dal punto di vista delle competenze, in parte al Governo e in altra parte alle Regioni. Attribuendo in maniera specifica allo Stato la competenza della "istruzione", il nuovo articolo 117 precisa: "salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale".

Delle due: o la competenza concorrente resta alle Regioni o la recuperiamo allo Stato! Se la recuperiamo allo Stato, non ho obiezioni da muovere dal punto di vista dell’indicazione di criteri e principi ai fini della utilizzazione della delega da parte del Governo. Ma, poiché non è possibile recuperare una competenza regionale di merito attraverso una delega legislativa, dobbiamo tener conto di questo spartiacque: ciò che appartiene allo Stato e ciò che appartiene alle Regioni.

Allo Stato appartiene la disciplina dei principi fondamentali (e i principi fondamentali vanno discussi e approvati in Parlamento, senza possibilità di delega a favore del Governo). Al riguardo, il disegno di legge al nostro esame non fa nessuna distinzione: attribuisce tutto al Governo, perché nell’orientamento governativo (me lo consenta il Ministro) c’è spesso la tendenza all'attività invasiva delle competenze del Parlamento, da una parte, e delle competenze regionali, dall’altra.

Il contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale aumenta con preoccupazione (di giorno in giorno), perché il Governo utilizza la delega ritenendo che non sia avvenuto niente nel novembre del 2001, quando il referendum popolare ha confermato la modifica costituzionale distinguendo le competenze: quelle esclusive, ma tassative, a favore dello Stato, e le altre di carattere generale in favore delle Regioni.

Ci troviamo perciò di fronte a una palese violazione di norma costituzionale che qualche volta dobbiamo pure risolvere in Parlamento. Quand’è che il Parlamento si riappropria di una sua funzione in tema di principi fondamentali nella legislazione concorrente e fa comprendere al Governo che questa di cui al disegno di legge non è la delega tradizionale degli anni ’60, ’70, ’80 o anche degli anni ’90? Si fa richiamo all’abuso di deleghe nella passata legislatura: nella passata legislatura non era ancora intervenuta la riforma, mentre in questa legislatura vige il nuovo articolo 117 della Costituzione.

So di dovere illustrare altro argomento, ma che può essere anche rinviato a miglior tempo. (Richiami del Presidente). Vado verso la conclusione, signor Presidente. Che rapporto c’è tra il parere in materia di legislazione concorrente attribuito alla Commissione bicamerale integrata per le questioni regionali e il testo? Un giorno la Commissione dovrà esprimere anche il suo parere e non è possibile che non si tenga conto di questo.

Infine, onorevole Ministro, che cos’è questo regolamento statale di attuazione di leggi regionali? In materia regolamentare la competenza è e resta intestata alle Regioni, per la legislazione concorrente, perché si tratta di legislazione di merito specifica eventualmente diversa da Regione a Regione e non necessariamente uguale.

Ultima osservazione e ho chiuso: il rispetto dell'autonomia scolastica. Concluderò con quest'ultima osservazione relativa all'autonomia scolastica: quale armonizzazione essa trova nella richiesta di delega che il Parlamento dovrebbe concedere al Governo? Si tratta infatti di un principio costituzionale e, in questa ipotesi, di un'ulteriore violazione della nostra Costituzione. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Misto-Com, Misto-Rc, Misto-SDI e Misto-Udeur-PE. Congratulazioni).

VILLONE (DS-U). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

VILLONE (DS-U). Signor Presidente, desidero richiamare l'attenzione dell'Aula su alcuni profili di incostituzionalità, parte dei quali coincidono con quelli adesso illustrati dal senatore Mancino, le cui argomentazioni pienamente condivido.

Non c'è dubbio che si legiferi come se la riforma del Titolo V non fosse stata mai posta in essere: questa legge poteva essere realizzata tal quale prima della riforma. Abbiamo invece un quadro di competenze rinnovato. Come ricordava il collega Mancino, l'istruzione viene definita in termini di potestà esclusiva dello Stato per quanto riguarda le norme generali sull'istruzione ed i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e in termini di potestà concorrente per quanto riguarda l'istruzione, fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, che rientrano nella potestà esclusiva delle Regioni.

Abbiamo quindi un quadro articolato, nel quale la competenza dello Stato concerne, appunto, le norme generali (potestà esclusiva) e i princìpi in materia di istruzione (potestà concorrente).

Comprendo che può essere difficile definire la distinzione tra la norma generale e il principio, ma certo è che per "norme generali sull'istruzione" non si può intendere una qualunque legge recante regole generali e astratte. Se così fosse, qualunque legge che non fosse una legge fotografia sarebbe attribuita alla potestà esclusiva dello Stato. È altresì certo che lo Stato non ha competenza sulla disciplina di dettaglio, né con norme generali in base all'attribuzione di potestà esclusiva, né con princìpi in base all'attribuzione di potestà concorrente.

In questo aspetto, quindi, si ravvisa un primo motivo di sicura incostituzionalità che non si supera con il ricorrente richiamo alle sedi di concertazione tra Stato e autonomie, le quali, ovviamente, non hanno a che fare con il riparto della competenza. Peraltro, il fatto che non vi sia una competenza dello Stato sul dettaglio né in base all'una, né in base all'altra attribuzione di potestà legislativa, conferisce forza all'argomento, già da noi più volte posto, della inutilizzabilità dello strumento della delega in questo contesto.

Non si può pensare a una delega per le norme generali (ex articolo 76 della Costituzione) così come non si può pensare ad una delega sui princìpi di potestà concorrente (i princìpi dei princìpi): riteniamo che lo schema costituzionale non lo consenta. Si capisce, allora, il richiamo ai livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti fondamentali, che assume la veste di copertura generale per un esercizio di potestà di cui lo Stato non dispone.

In questo provvedimento troviamo di tutto, signor Presidente; troviamo norme sull’ordinamento scolastico, sulla carriera dei docenti, sui titoli di studio, sull’organizzazione; non troviamo però alla fine i livelli essenziali delle prestazioni. Qualunque cosa noi pensiamo di questi livelli, è chiaro che essi disegnano in termini qualitativi e quantitativi ciò che ognuno ha diritto ad avere dal soggetto pubblico come attuazione di un proprio diritto.

Per esempio, mi chiedo come si possa stabilire all’articolo 7, comma 4, sulla notissima questione dell’iscrizione a tre anni, che tanto ci ha affaticato, che questa avviene "compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie e dei comuni". Se un livello è essenziale, deve essere garantito e basta, non può esservi un problema, nella definizione normativa di compatibilità, di risorse finanziarie: queste ultime bisogna trovarle. Ciò per dire che il richiamo ai livelli essenziali è una strumentale copertura di un esercizio delle competenze sbagliato, rispetto a quanto stabilisce la Costituzione.

Un altro ordine di motivi di incostituzionalità che notiamo nel disegno di legge è la commistione tra formazione e istruzione. Nell’articolo 2, comma 1, lettera c), leggiamo che "La fruizione dell’offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti di diritto all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l’obbligo scolastico di cui all’articolo 34 della Costituzione".

Non c’è dubbio che il legislatore ordinario possa attuare in più rispetto a quanto garantito dalla Costituzione, possa dare quindi un’attuazione al dettato costituzionale che va oltre la stretta copertura costituzionale di un diritto; ma quando si parla di diritti, signor Presidente, dobbiamo guardare alla storia dell’ordinamento, alla nostra storia costituzionale e legislativa.

Istruzione e formazione per noi attengono a due aspetti diversi: l’istruzione, prevista all’articolo 34 della Costituzione, consiste nell’apprendimento di cognizioni di natura polivalente per la crescita dell’individuo come persona umana e si connette all’articolo 2; la formazione è invece l’orientamento all’attività di lavoro. Tali attività non si possono sovrapporre e tanto meno scambiare, tant’è vero che sono persino attribuite a competenze diverse, come possiamo notare nello stesso articolo 117, per cui una è attribuita a una certa potestà, l’altra, l’istruzione e formazione professionale, ad altra potestà, a quella esclusiva delle Regioni.

Quindi, non possiamo leggere nell’articolo 34 l’uno o l’altro di questi concetti, altrimenti rischiamo non di ampliare, come prevede il testo, bensì di ridurre la copertura costituzionale. Questo per noi è motivo di incostituzionalità. Pensiamo in altri termini che l’istruzione debba essere garantita prima e a prescindere dalla formazione professionale.

Un ultimo ordine di problemi, tenendo conto anche degli argomenti già svolti dal collega Mancino, attiene alla copertura. Tutto si può dire, ma certo l’articolo 81 della Costituzione pone con precisione la necessità di una copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla legge. In questo testo legislativo sostanzialmente abbiamo una formulazione del tipo: intanto approviamo la legge, poi i quattrini li troveremo.

Questa non può essere, signor Presidente, una seria formulazione legislativa per una copertura. Abbiamo avuto grandi polemiche su questo punto, ci sono stati scontri politicamente molto rilevanti; la questione che ci siano meno risorse è venuta all’attenzione di tutti gli italiani, il fatto che non ci siano si traduce adesso in formule di copertura che sono tecnicamente - mi perdoni, signor Presidente - risibili.

Quindi, si tratta di un provvedimento che per più versi si presenta con forti dubbi di costituzionalità, che tra l’altro contraddice in modo radicale gli indirizzi del Governo.

Avendo letto questo testo, che - lo ripeto - poteva essere scritto tal quale prima della riforma del Titolo V della nostra Costituzione, mi chiedo come mai lo stesso Governo possa presentare la ben nota proposta di devolution. Noi almeno presentavamo le cosiddette leggi Bassanini e poi facevamo in coerenza la riforma del Titolo V. Qui invece siamo al bianco e al nero, al giorno e alla notte, da parte di Ministri che siedono allo stesso tavolo nelle riunioni del Consiglio dei ministri. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U).

COMPAGNA (UDC:CCD-CDU-DE). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

COMPAGNA (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Ministro, onorevoli colleghi, ho ascoltato con molta attenzione gli argomenti sviluppati dal senatore Mancino e dal senatore Villone. Sono argomenti che, anche se pongono la questione di costituzionalità in qualche modo in termini pregiudiziali, si riconducono pienamente alla relazione del presidente della 7a Commissione, senatore Asciutti. Infatti, quando il collega Villone afferma che questo testo legislativo sembra prescindere dal fatto che la riforma del Titolo V della Costituzione ci sia stata, mi permetto di rilevare che assolutamente non è così.

L'intero dibattito che si è svolto in sede di 7a Commissione, non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche - se mi è consentita una metafora calcistica - nei takle fra il Governo e la propria maggioranza, ha fatto riferimento a questa riforma del Titolo V.

E allora, voglio cogliere lo spirito, ma non la lettera, dell’affermazione fatta dal senatore Villone, perché se dovessi interpretarla alla lettera dovrei dedurne che in questa legislatura è preclusa ogni tipologia di legislazione di politica scolastica perché la partita è stata chiusa dalla riforma del Titolo V nella scorsa legislatura, poi diventata operante nel settembre del 2001.

Mi preoccuperei, invece, di seguire la strada delle preoccupazioni esposte dal senatore Mancino, le quali mi sembra si muovano in piena linea con lo spirito della Costituzione e con lo spirito del dibattito, non molto approfondito soprattutto in Senato, che vi fu nella scorsa legislatura tra la maggioranza e l’opposizione.

Ha ragione il collega Mancino quando afferma che non ci si può servire di una delega per recuperare una competenza legislativa che non c’è più, una prerogativa a legiferare; lo dico con il sentimento di chi nella scorsa legislatura era all’opposizione e di chi non ha nella propria cultura costituzionale il gusto di riforme approvate ai limiti della campagna elettorale, con pochissimi voti di scarto e senza accogliere neanche un emendamento dell’opposizione. Ma sono sicuro che anche il presidente Mancino ha la stessa cultura e lo stesso sentimento delle istituzioni; per cui penso che la sua sia una preoccupazione vera e seria. Non credo però che il Senato onorerebbe questo tipo di preoccupazione se bloccasse l’esame dei provvedimenti oggi al nostro esame, approvando una questione pregiudiziale di costituzionalità.

Ritengo invece che dobbiamo esaminare nel merito, così come abbiamo fatto in Commissione, il sentiero tracciato da questi provvedimenti. Infatti, è vero quello che dice il senatore Villone, e cioè che il diritto è soprattutto storia del diritto - e a me ha fatto piacere sentirlo dire - ma in questa storia c’è il decreto del Presidente della Repubblica n. 616, che risale alla metà degli anni ’70; c'è Massimo Severo Giannini; un suo predecessore, signora ministro Moratti, non sospetto di alcun eccesso di federalismo, il ministro Spadolini, dovette consegnare la direzione generale della formazione professionale alle Regioni e fu un fallimento di politica scolastica e di politica sociale; altro che Tangentopoli! Cosa fu la regionalizzazione di quel settore!

Da questo punto di vista, senatore Mancino, lei si preoccupa che la politica scolastica portata avanti in questa legislatura abbia uno scarso rispetto del Parlamento (è una preoccupazione che ho fatto mia molte volte) e delle Regioni (è una preoccupazione che assolutamente non ho).

Non mi è piaciuto che la signora ministro Moratti abbia insistito con il percorso dei cosiddetti Stati generali, espressione che ripugna al mio senso poco rivoluzionario e poco giacobino, che abbia preferito l’opacità del dialogo della Conferenza Stato-Regioni e non abbia rivendicato per sé - non certo in polemica con il collega La Loggia - la leadership della cabina di regìa, perché se noi vogliamo attuare con spirito costituzionale e costituente il Titolo V, sia pur nulla condividendo della riforma allora varata (come è negli intendimenti del disegno di legge La Loggia), dobbiamo considerare che le norme generali di politica scolastica sono qualcosa a cui uno Stato moderno non può e non deve abdicare.

Da questo punto di vista il Ministro ci ha sottoposto un testo che non sarebbe ad onore del Senato rifiutarsi di esaminare nel merito, facendo cadere una pregiudiziale manichea di costituzionalità molto astratta. Così sì, si alimenta quel contenzioso costituzionale innanzi alla Corte, che si addensa nella fretta e nella faziosità con cui gli amici della sinistra hanno varato la riforma della Costituzione nella scorsa legislatura.

Ecco perché ritengo che il Senato farebbe bene a respingere le pregiudiziali dei colleghi Mancino e Villone e affrontare nel merito, con le indicazioni contenute nella relazione del senatore Asciutti, questo importantissimo provvedimento, anche (se non soprattutto) alla luce di quelle considerazioni in tema di articolo 81 che il senatore Villone ha avanzato alla fine del suo intervento.

Di qui il nostro voto contrario alle questioni pregiudiziali. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE e del senatore Lauro).

VALDITARA (AN). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

VALDITARA (AN). Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, in risposta agli interventi svolti dai senatori Mancino e Villone (che sicuramente apprezzo per la profondità del ragionamento), debbo innanzitutto sottolineare una serie di obiezioni.

L’articolo 117, comma 2, della nostra Costituzione afferma che le norme generali in materia di istruzione spettano allo Stato; al comma 3 del medesimo articolo si stabilisce che in materia di legislazione concorrente l’istruzione spetta alle Regioni, fatti salvi i princìpi fondamentali che sono di competenza, ancora una volta, dello Stato.

Evidentemente il comma 3 non è ripetitivo di quanto già espresso dal comma 2. Non a caso si utilizza anche un diverso concetto: i princìpi fondamentali sono diversi dalle norme generali, ed è anche logico. Trattandosi di materie di natura concorrente, è altrettanto logico che vi sia una minore stringenza, perché norma generale è qualcosa di più dettagliato rispetto ai semplici princìpi fondamentali.

Allora, se vogliamo dare un significato a questa differenza di disciplina normativa, vuol dire che le norme generali sono di competenza esclusiva dello Stato e che le norme che non sono generali vedranno la fissazione di princìpi fondamentali, che sono di competenza dello Stato, mentre, ovviamente, la disciplina di dettaglio all'interno di quei princìpi fondamentali spetterà alle Regioni. D'altro canto, è ben noto che i princìpi fondamentali si stabiliscono con legge, cioè con quella funzione legislativa, il cui esercizio l'articolo 76 della Costituzione ammette possa essere delegato al Governo.

Ritengo vi sia una considerazione da svolgere come premessa a questo discorso. In quest'Aula è stata chiesta in più occasioni, addirittura con una mozione, l'attuazione della legge Berlinguer. Ora, quella legge certamente non detta regole meno stringenti di quanto non faccia la normativa Moratti. Allora, vi chiedo, giudicate forse voi incostituzionale anche la legge 10 febbraio 2000, n. 30, cioè la cosiddetta legge Berlinguer?

È stata sollevata poi un'altra questione. Si è detto: lo Stato non può intervenire in materia di formazione professionale perché questa, ex articolo 117, terzo comma, della Costituzione, è riservata alle Regioni. Però, avete dimenticato che il secondo comma dice che lo Stato può dettare norme generali in materia di istruzione. È evidente che, poiché il termine generale contiene ovviamente la specie, quando si dice "in materia di istruzione" si comprende anche la formazione professionale.

C'è da aggiungere un ulteriore elemento. L'articolo 117 della Costituzione, vecchio testo, stabiliva che i princìpi fondamentali in materia di istruzione e formazione professionale spettassero allo Stato. Per costante giurisprudenza costituzionale si è ritenuto che molte leggi dello Stato in materia di istruzione e formazione professionale potessero addirittura entrare in una normativa che certamente non potrebbe essere di carattere generale, né dettare princìpi fondamentali.

Ebbene, se dovessimo seguire questo criterio, la legge 17 maggio 1999, n. 144, in materia di istruzione e formazione professionale sarebbe anch'essa incostituzionale. Tale legge all'epoca certamente non si limitava a dettare princìpi fondamentali e in ogni caso entra in una materia che, se dovessimo ritenere la formazione professionale completamente affidata alle Regioni, non le sarebbe consentito modificare.

Ancora. Non vi è un intervento diretto in materia di autonomia scolastica: essa è garantita dal terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione. E' evidente che, qualora vi fosse una successiva eventuale violazione dell'autonomia scolastica, queste norme sarebbero certamente incostituzionali. Ma nel testo non si tocca l'autonomia scolastica.

C'è un ultimo punto su cui ritengo occorra fare chiarezza. E' stato fatto riferimento in più occasioni, anche in Commissione, al problema del finanziamento, sostenendo che questa riforma non è finanziata e dunque non ha copertura. Voglio soltanto ricordare che i costi più significativi di questa riforma riguardano l'anticipo. I costi dell'anticipo sono stati individuati in 12 milioni di euro per il 2003, 45 milioni di euro per il 2004 e 66 milioni di euro per il 2005.

Nella finanziaria, alla tabella A, sotto la voce "Ministero dell'istruzione e della ricerca", troviamo 291 milioni di euro per l'anno 2003 e 261 milioni di euro per gli anni 2004 e 2005. È vero che ci sono anche altre voci, ma il finanziamento della riforma è la voce principale di questa appostazione. Si tratta di 12 milioni su 291 milioni di euro: capite bene che vi è ampio spazio per sostenere i costi di questa riforma. (Commenti della senatrice Acciarini).

 

PAGANO (DS-U). Senatore Valditara, che fine ha fatto il suo ordine del giorno?

 

PRESIDENTE. Senatrice Pagano, avremo tempo e modo di discutere tali questioni di merito.

 

VALDITARA (AN). Essendo completamente rispettata la previsione dell'articolo 76 della Costituzione circa la determinazione di princìpi e criteri direttivi ed essendo completamente rispettata la previsione dell'articolo 117, commi 2 e 3, ritengo che debbano essere respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità. (Applausi dai Gruppi AN e FI).

FAVARO (FI). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

FAVARO (FI). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, annuncio il voto contrario di Forza Italia alle questioni pregiudiziali di costituzionalità sul disegno di legge relativo alla riforma dei cicli scolastici. Svolgerò alcune considerazioni che tentano di superare i ragionamenti fatti in punto di diritto. Noi non ravvisiamo alcun motivo di incostituzionalità e sottolineiamo l'opportunità di approvare in fretta questo provvedimento per dare un quadro certo e un ordine alla complessa materia della scuola e della formazione professionale.

In una materia così articolata come quella della scuola non si può non procedere per legge delega, a meno che non si voglia entrare in tutti i minimi particolari. Legge quadro fu anche la legge n. 30 del 2000, la cosiddetta legge Berlinguer, la quale prevedeva che il Governo presentasse al Parlamento un programma quinquennale di progressiva attuazione della riforma, su cui le Camere si sarebbero dovute esprimere con una deliberazione contenente indirizzi su singole parti del programma.

È evidente, anche ad un primo esame, che questo disegno di legge è ben più specifico nelle sue indicazioni della legge 10 febbraio 2000, n. 30; la delega che il Governo chiede è meno vasta rispetto alla delega che veniva concessa dalla precedente legge. Basta leggere gli articoli 2, 3 e 4 per cogliere la preoccupazione di fissare i livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti sociali e civili dei cittadini.

Negli ultimi cinque anni sono state approvate moltissime leggi delega senza che nessuno protestasse; d'altra parte, c'è tutta una normativa relativa alla scuola che aspetta di essere attuata all'interno di un quadro certo, che solo l'approvazione di questo disegno di legge può dare, togliendo la scuola da situazioni di incertezza e precarietà inutili.

È stato citato più volte il Titolo V della Costituzione, così come novellato, che all'articolo 117 fissa le nuove competenze di Stato, Regioni ed enti locali in tema di istruzione e formazione. Vi è poi il problema della sperimentazione che si svolge spesso al di fuori di un quadro preordinato; vi è la situazione della formazione musicale da definire in un quadro logico, dopo che un decreto delegato ha trasformato i Conservatori in istituti di alta cultura.

In questo quadro di incertezza, o meglio nella mancanza di un quadro legislativo di riferimento, altri enti si stanno muovendo e così scopriamo che l'assessore dell'Emilia-Romagna annuncia una legge regionale in materia scolastica, in attuazione dell'articolo 117 della Costituzione e sappiamo che altre Regioni si stanno muovendo in questa direzione.

Per questo motivo è urgente discutere e approvare il provvedimento al nostro esame, che non è contro il nuovo dettato costituzionale, ma lo attua in due punti, ed è strano che solo un punto dell'articolo 117 sia stato finora citato. Detto articolo parla specificamente di scuola, prevedendo, in un punto, che lo Stato fissi le norme generali dell'istruzione - come intende fare il provvedimento al nostro esame - e assegnando, in un altro passaggio, allo Stato la competenza esclusiva anche per la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".

Basterà leggere gli articoli 2, 3 e 4 per verificare come, entrando nel merito dei singoli cicli scolastici, sono fissati i livelli che la legge definisce "minimi" - ma forse sarà bene sostituire quel termine con "essenziali" - su tutto il territorio nazionale con riferimento a questo diritto fondamentale dell’individuo, che non è soltanto all’istruzione ma anche alla formazione.

Anche da questo punto di vista il disegno di legge supera il vecchio impianto, per cui non si parla più di obbligo scolastico bensì di diritto-dovere dei cittadini all’istruzione e alla formazione. Sono quegli stessi diritti e doveri che in base all’articolo 117 della Costituzione spetta allo Stato definire nei loro livelli essenziali. Tutto ciò - basta leggere il disegno di legge in alcuni suoi passaggi - nel rispetto essenziale dell’autonomia delle Regioni e nel rispetto essenziale anche di un’altra autonomia sancita dalla Costituzione, vale a dire quella dei singoli istituti scolastici. (Applausi dal Gruppo FI).

PRESIDENTE . Avverto che, a norma dell'articolo 93 del Regolamento, i senatori Mancino e Villone hanno proposto due questioni pregiudiziali di costituzionalità.

Passiamo alla votazione.

 

 

Verifica del numero legale

 

PAGANO (DS-U). Chiediamo la verifica del numero legale.

 

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).

 

Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).

 

Il Senato è in numero legale.

 

 

Ripresa della discussione dei disegni di legge nn. 1306 e 1251

 

PRESIDENTE. Metto ai voti la questione pregiudiziale, formulata, con diverse motivazioni, dai senatori Mancino e Villone.

Non è approvata.

 

PAGANO (DS-U). Chiediamo la controprova.

 

PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.

Non è approvata.

 

Come convenuto, rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

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