SENATO DELLA REPUBBLICA
—————— XIV LEGISLATURA ——————

Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Disegno di legge modificato dalla Camera

 

348a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 5 MARZO 2003

(Antimeridiana)

RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente PERA

PRESIDENTE . La seduta è aperta (ore 9,35).

Si dia lettura del processo verbale.

 

PASSIGLI, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del giorno precedente.

 

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE . Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.

Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 9,38).

Reiezione di proposta di inversione dell'ordine del giorno

CORTIANA (Verdi-U). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

CORTIANA (Verdi-U). Signor Presidente, chiedo l'inversione dell'ordine del giorno della seduta odierna, nel senso di trattare al primo punto del medesimo il disegno di legge n. 1547.

PRESIDENTE . Metto ai voti la richiesta di inversione dell'ordine del giorno, avanzata dal senatore Cortiana.

Non è approvata.

 

TURRONI (Verdi-U). Chiediamo la controprova.

 

PRESIDENTE. Ordino la chiusura delle porte. Procediamo alla controprova mediante procedimento elettronico.

Non è approvata.

Discussione del disegno di legge:

(1306-B) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale (Approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati) (Votazione finale qualificata ai sensi dell'articolo 120, comma 3, del Regolamento) (Relazione orale)

PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1306-B, già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che, ai sensi dell'articolo 104 del Regolamento, oggetto della discussione e delle deliberazioni saranno soltanto le modificazioni apportate dalla Camera dei deputati, salvo la votazione finale.

Il relatore, senatore Asciutti, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.

ASCIUTTI , relatore . Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli senatori, il disegno di legge n. 1306-B, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, già approvato dal Senato lo scorso novembre, torna all'esame di questo ramo del Parlamento a seguito di un limitato numero di modifiche apportate dalla Camera dei deputati. (Brusìo in Aula).

 

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, c'è troppo brusìo; mi rivolgo in particolare ai colleghi del Gruppo e dello schieramento del senatore Asciutti.

 

ASCIUTTI, relatore. Soprattutto ai colleghi di Forza Italia, signor Presidente.

 

PRESIDENTE. Sono indisciplinati. Colleghi, desidero che il senatore Asciutti possa svolgere la sua relazione.

 

ASCIUTTI, relatore. I primi sei articoli del provvedimento sono stati infatti approvati dall'altro ramo del Parlamento nell'identico testo licenziato dal Senato. Solo all'articolo 7, recante le disposizioni finali e attuative, sono state apportate alcune modifiche, in parte di natura meramente tecnica, come ad esempio lo slittamento del triennio finanziario di riferimento dal 2002-2004 al 2003-2005. Anche la sostituzione dell'espressione "entro il limite massimo" con l'altra "nella misura massima", di cui al comma 5 dell'articolo 7, appare di carattere meramente lessicale.

La sostituzione del comma 7 con tre nuovi commi, che assumono rispettivamente la numerazione 7, 8 e 9, riveste invece maggior rilievo. I nuovi commi impongono infatti che ciascuno degli schemi dei decreti legislativi attuativi della riforma sia corredato da relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 11-ter della legge n. 468 del 1978. Quelli comportanti nuovi o maggiori oneri potranno inoltre essere emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie. Il testo licenziato dal Senato prevedeva invece che i decreti comportanti oneri aggiuntivi avessero comunque attuazione nell'ambito dei finanziamenti annualmente iscritti nella legge finanziaria. (Brusìo in Aula).

Inviterei i colleghi di Forza Italia, in particolare i senatori Malan e Ferrara, a far cessare il brusìo.

 

PRESIDENTE. Per cortesia, colleghi, è la terza volta che vi invito ad essere un po' più rispettosi.

 

ASCIUTTI, relatore. Il comma 9, infine, stabilisce che il parere parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi sia reso dalle Commissioni competenti per materia e da quelle competenti per le conseguenze di carattere finanziario.

Si tratta nel complesso di modifiche di limitato spessore che completano il percorso già avviato dal Senato. Nel corso dell'esame in sede referente da parte della Commissione istruzione esse sono state ampiamente esaminate e dibattute.

La Commissione ha altresì esaminato circa una ventina di ulteriori proposte di modifica presentate dall'opposizione. Nessuna di queste è stata tuttavia accolta nella convinzione che occorresse quanto prima porre termine allo stato di incertezza che da troppo tempo agita ormai il mondo della scuola. Pur riconoscendo all'opposizione un impegno costruttivo e non ostruzionistico, la maggioranza si sente chiamata ad approvare sollecitamente la riforma in tempi utili affinché i decreti legislativi di attuazione possano essere emanati nell'arco della legislatura.

Con questo spirito, raccomando all'Aula la tempestiva approvazione del disegno di legge, nel testo licenziato dalla Camera dei deputati. (Applausi dal Gruppo FI).

 

PRESIDENTE. La relatrice di minoranza, senatrice Soliani, ha chiesto l'autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni, la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare la relatrice di minoranza.

SOLIANI , relatrice di minoranza . Signor Presidente, signora Ministro, signora Sottosegretaria, colleghi, torna nell'Aula del Senato, cinque mesi dopo la prima approvazione, il disegno di legge delega per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

Lo attendevamo. Noi conoscevamo - e l'avevamo denunciata in quest'Aula - l'inconsistenza finanziaria del provvedimento e su questo punto avevamo avanzato invano, qui in Senato, una pregiudiziale di costituzionalità ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

La maggioranza non ha inteso ragioni e riceve ora dalla Camera dei deputati un testo meglio definito nelle sue implicazioni finanziarie che, nel correggere formalmente i passaggi procedurali per l'esercizio di alcune delle deleghe, finisce tuttavia per evidenziare ulteriormente i profili di illegittimità e di scopertura finanziaria dell'intera riforma.

In particolare, le modifiche introdotte alla Camera riguardano le modalità di attuazione delle due norme di delega che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbero costituire il pilastro portante della riforma: la delega in materia di norme generali sull'istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale (articolo 1) e la delega in materia di disciplina dell'alternanza scuola-lavoro (articolo 4).

A questo proposito, la Camera ha espressamente previsto che i decreti legislativi relativi a tali norme siano corredati da relazione tecnica, come peraltro già imposto dall'articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978 in materia di contabilità dello Stato. Ma soprattutto ha disposto che, ove tali decreti recassero nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, essi siano emanati solo dopo l'approvazione di appositi provvedimenti di spesa che stanzino le necessarie risorse.

Questa formulazione, che pure nasconde dietro l'eventualità di maggiori spese quella che evidentemente è già una certezza considerata la natura degli interventi oggetto della delega, giova comunque ad evidenziare come quelle disposizioni siano a tutt'oggi prive di qualunque forma di copertura finanziaria.

Con una norma di dubbia legittimità costituzionale, si rinvia infatti al legislatore futuro la responsabilità politica di far fronte agli oneri che deriveranno dall'attuazione delle attuali deleghe. Lo stesso legislatore futuro dovrà a tal fine stabilire nuove entrate o minori spese che, a loro volta, incideranno sulle politiche fiscali o sulle politiche di spesa pubblica in forme e in misura che oggi non sono conoscibili da nessuno, né dal Parlamento né dal Governo.

Questa impostazione configura un'inaccettabile negazione del principio di responsabilità politica alla base di ogni sistema giuridico moderno, secondo cui ogni decisione recante un costo o un onere per la collettività deve essere accompagnata da una corrispondente assunzione di responsabilità certa e contestuale (e non soltanto indeterminata ed eventuale) circa le politiche da attuare per far fronte a tali oneri.

Diversamente, il Parlamento risulterebbe semplicemente privato della possibilità di conoscere e valutare la complessiva portata politica e finanziaria delle riforme sottoposte alla sua approvazione, con la conseguenza di vedere umiliate e compresse le sue prerogative istituzionali, ridotte alla mera ratifica di norme manifesto, prive di alcun contenuto giuridico rilevante.

Peraltro, la mancanza di una quantificazione certa degli oneri finanziari della riforma ed il rinvio, per la loro determinazione e copertura, a una nuova decisione politica e legislativa del Parlamento negano e stravolgono anche lo stesso istituto della delega legislativa, come delineato dall'articolo 76 della Costituzione, configurando un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della cosiddetta riforma Moratti.

D'altra parte, a mettere in luce tali aspetti problematici, se non addirittura allarmanti della legge di delega in materia scolastica, proponendo in concreto degli interventi correttivi praticabili, erano state le proposte emendative presentate dall'Ulivo già in prima lettura e ribadite, per quanto possibile, anche in terza lettura, per i soli aspetti di copertura finanziaria. Sotto quest'ultimo aspetto le nostre proposte indicano un'immediata forma di copertura finanziaria, nell'incremento uniforme delle aliquote sui redditi da capitale, in misura idonea a generare il gettito atteso per la riforma.

Pur intendendo tale copertura come destinata a finanziare gli interventi di riforma scolastica che noi sosteniamo in alternativa a quelli della riforma Moratti, abbiamo tuttavia ritenuto di riproporre questa copertura anche con riferimento a norme di delega contenute nella riforma in approvazione, proprio allo scopo di ribadire l'esigenza di una vera e realistica disposizione di copertura finanziaria, del tutto omessa dal Governo.

In definitiva, si tratta della conferma di ciò che l’opposizione ha sempre sostenuto, vale a dire che l’intero disegno, che si presume riformatore, è inchiodato alla partenza, rimanendo inattuabile; che il suo futuro è condizionato dalle disponibilità via via definite dal Tesoro; che l’iter, sempre tormentato sul piano delle risorse, è destinato ad aggravarsi; che, dopo l’eventuale sua approvazione definitiva, che il ministro Moratti saluterà come una conquista, la barra del timone passerà definitivamente nelle mani del ministro Tremonti. È il sigillo dell’impotenza di questa legge e del ministro Moratti, e questo è ciò che più conta per il sistema scolastico italiano e per il Paese.

Il ritorno al Senato di questo disegno di legge non è solo tecnico, assume un rilievo tutto politico. L’articolo 7 infatti nega, in sostanza, ciò che è contenuto nei precedenti. Il rinvio ad altri provvedimenti di spesa se, da un lato, manifesta di nuovo problemi di costituzionalità, confermando peraltro lo stile del Governo che presenta disegni di riforma senza prevederne la copertura finanziaria, dall’altro, getta uno sguardo di grande preoccupazione sui prossimi ventiquattro mesi nei quali potranno essere emanati i decreti attuativi.

L’interrogativo è uno solo: ci saranno le risorse? È realistico prevederle? La risposta non può che essere negativa, sia perché non sono ipotizzati nelle previsioni del Governo aumenti di entrate, sia perché le rigidità di bilancio sono destinate ad aumentare entro il Patto di stabilità.

L’articolo 7, modificato al comma 7, rende del tutto vuoti i precedenti articoli, quelli che riguardano il corpo vivo della scuola, la sua attività, le sue strutture portanti; quelli indicati al comma 3 dell’articolo 1: la riforma degli ordinamenti; la valorizzazione della formazione professionale; il Servizio nazionale di valutazione; le nuove tecnologie; lo sviluppo dell’attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti; la formazione iniziale e continua; l’autoaggiornamento del personale docente e la sua valorizzazione; il personale ATA; gli interventi contro la dispersione scolastica; l’istruzione e la formazione tecnica superiore e l’educazione degli adulti; gli interventi per l’edilizia scolastica.

Senza risorse certe, ogni provvedimento resta soltanto una dichiarazione d'intenti. Quando il ministro Moratti parla alle famiglie e al Paese della sua supposta riforma, dovrebbe anche aggiungere che non un centesimo di euro è stato di fatto stanziato per realizzarla.

Non si tratta di dettagli, le risorse sono un elemento portante degli interventi dei Governi, i quali poggiano su due pilastri fondamentali: il merito delle scelte, che in questo caso riguardano il presente e il futuro della scuola italiana, e le risorse finanziarie che vanificano o potenziano il merito delle scelte, le realizzano o no. La differenza non è irrilevante.

La legge torna, signora Ministro, nella sua verità. Torna nuda, esposta senza scampo al destino di rimanere puro annuncio, manifesto, comunicazione massmediatica; in definitiva, solo propaganda. E dire che lei aveva parlato al Paese, nei mesi scorsi, di almeno 10 miliardi di euro necessari per la sua riforma, sostenuti peraltro da un ordine del giorno del senatore Valditara approvato da quest'Aula. Annunci: la verità è nei fatti, non nelle parole.

La verità è nella più grande riduzione di risorse che la scuola italiana ricordi, operata da questo Governo con le sue leggi finanziarie. Una contrazione di risorse che corrisponde, per il triennio 2003-2005, a un complessivo definanziamento pari ad almeno 2,1 miliardi di euro (circa 4 mila miliardi di vecchie lire) dell'intero sistema delle politiche scolastiche.

Questa è la prima certezza che la scuola riscontra e che appartiene a quest'anno e mezzo di Governo: una gestione che la impoverisce e ne mette a rischio la qualità, mentre la perdurante incertezza sul contratto del personale accresce la demotivazione degli insegnanti.

La seconda certezza è l'assoluta indeterminatezza circa la concreta attuazione del presente disegno di legge: una scuola senza futuro, senza prospettiva europea. Quel che resta della fattibilità di questo provvedimento, allo stato delle cose, è scritto al comma 5 dell'articolo 7, con il quale la Camera dei deputati conferma la misura massima delle risorse per l'attuazione dell'anticipo della frequenza della scuola dell'infanzia e della scuola primaria statale, secondo criteri di gradualità e sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei Comuni.

Sappiamo bene tutti quale sia questa disponibilità, in seguito alle scelte del Governo con i provvedimenti e le leggi finanziarie. Questo è tutto ciò che oggi il Governo si è impegnato a fare. Qui comincia e qui finisce "la riforma".

La terza certezza è ciò che per espressa volontà di questo disegno di legge viene tolto alla scuola italiana: gli effetti della legge 20 gennaio 1999, n. 9, e tutte le potenzialità della legge 10 febbraio 2000, n. 30, che vengono abrogate.

Questa è la responsabilità che si è assunto il Governo bloccando le riforme del centro-sinistra: nessun approdo ad un’altra sponda per la riforma, siamo invece in vista del deserto.

L’abrogazione della citata legge n. 9 del 1999, sull’elevamento dell’obbligo di istruzione, fa cessare la garanzia del diritto a frequentare iniziative formative volte al conseguimento di una qualifica professionale per coloro che non riescono a raggiungere un titolo di studio; scompaiono le misure attive sull’ultimo anno dell’obbligo volte a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica; si perde il credito formativo per chi non consegue un diploma o una qualifica; si minano le basi giuridiche del Fondo per l’offerta formativa delle istituzioni scolastiche autonome, del Fondo per il sostegno all’handicap per la parte relativa all’integrazione oltre il livello dell’obbligo, del raccordo con l’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

Con l’abrogazione della legge n. 30 del 2000, diventa problematico il raccordo con la legge n. 144 del 1999, scompare la deroga per le Province autonome di Trento e di Bolzano sulla disciplina dell’obbligo scolastico, diventa impossibile individuare i titoli universitari e curricolari richiesti in deroga alla normativa vigente per l’accesso alle professioni, tra cui l’attività docente.

Questo l’esito più pesante e più certo del provvedimento al nostro esame: l’abbassamento dell’obbligo scolastico, mentre ovunque, negli altri Paesi, viene innalzato.

Signora Ministro, solo un approccio ideologico, unito alla fretta, può spiegare un provvedimento che genera un tale scompenso, una tale devastazione per l’intero sistema. Resta, invece, l’approccio culturale con il quale il Governo guarda al sistema scolastico e formativo: l’istruzione come avventura individuale; la scuola a domanda individuale, fornitrice di deboli prestazioni senza progetto; la codificazione della differenziazione sociale; l’incremento delle disuguaglianze territoriali per effetto della devoluzione che intanto continua il suo iter parlamentare.

La scuola, le famiglie, il Paese hanno bisogno di stabilità. L’azione del Governo consegna invece la scuola ad una permanente instabilità, ogni attesa è già delusa. Questo passaggio al Senato lo conferma: nulla è certo in questo provvedimento. Per il Governo che accada o no quel che si scrive è la stessa cosa, e il malessere e la rabbia aumentano.

La scuola chiede reali interlocutori: la via maestra dell’autonomia esce, da questo provvedimento, del tutto mortificata. Ben altra può essere la forza di un sistema delle istituzioni scolastiche autonome, protagoniste della vita del Paese, inserite in un contesto di ricerca, di innovazione, di qualificazione. L’autonomia esce mortificata dall’assenza di risorse.

È il Paese che resta bloccato. Bloccato nella sua dinamica sociale, nel suo bisogno di quella mobilità che solo un sistema di istruzione e formazione aperto, non rigido, integrato può assicurare.

L’Italia ha di fronte a sé, nella comparazione europea e internazionale, tutto intero il problema dell’efficacia del sistema di istruzione. La dipendenza dell’iter scolastico dalle condizioni socio-familiari di partenza dei ragazzi irrigidisce l’intero Paese e gli preclude ogni possibilità di crescita.

Una società più fluida ha bisogno non dell’ingessamento del sistema scolastico, che questo provvedimento rischia di introdurre, ma di una scuola che sia potente strumento di mobilità e progressione sociale. I ragazzi italiani oggi hanno bisogno di ben altro rispetto a ciò che ci consegna questo provvedimento.

Queste, onorevoli colleghi, le forti implicazioni politiche, le contraddizioni che accompagnano il ritorno del disegno di legge in quest'Aula. Ne è consapevole anche la maggioranza, preoccupata del fatto che il Governo si sia inerpicato su una strada difficilissima. In realtà, in questo articolo 7 vi è la prova della caduta di credibilità del Governo: non fa quel che dice di voler fare.

Il dibattito svoltosi alla Camera dei deputati ha messo in luce un altro fatto, del resto previsto. Dopo giorni di dibattito il testo torna modificato solo all'articolo 7; tutto il resto è identico, come se il dibattito e il contributo dell'opposizione fossero inutili. Un'altra prova che il confronto parlamentare non è apprezzato dal Governo e dalla maggioranza.

Non parli più, signora Ministro, di sue intenzioni bipartisan: è in Parlamento che si verifica se le intenzioni hanno un rilievo politico oppure no. Le parole impegnano sempre, in politica: debbono avere riscontro nei fatti.

Il testo torna al Senato "accompagnato" dai 37 ordini del giorno accolti dal Governo alla Camera, a loro volta corrispondenti a circa l’80 per cento degli ordini del giorno presentati in quella sede sia dalla maggioranza che dall'opposizione: riguardano tutto, sono stati approvati di fretta, spesso sono in vistosa e stridente contraddizione tra loro. Segno che la riforma non convince nessuno: né l'opposizione né la maggioranza, la quale, evidentemente, deve accontentarsi di esprimere il suo dissenso attraverso gli ordini del giorno.

Dalla Camera esce dunque una doppia "riforma": quella del disegno di legge e quella, diversa, caotica e incoerente disegnata dagli ordini del giorno.

Oggi il ritiro del provvedimento da parte del Governo sarebbe la cosa più seria e più utile per la scuola italiana e per lo stesso Governo. Chiudiamo una fase, riapriamo il discorso.

In ogni caso, signora Ministro, l'Ulivo e il centro-sinistra chiedono che il discorso si apra davvero sui contenuti dei decreti delegati, perché è lì che si decideranno, se si decideranno, gli interventi concreti. Vogliamo discutere davvero, in un confronto aperto, sia i provvedimenti finanziari sia i decreti delegati, affinché siano trovate le soluzioni migliori possibili nelle condizioni date.

Perché questo è l'impegno del centro-sinistra: dare alla scuola e al Paese la prospettiva di futuro che il Governo sta loro negando, attraverso un grande progetto di investimento e di innovazione che pensi la scuola come perno della coesione e dell’inclusione sociale e dell'unità culturale e civile della Nazione, che scelga l'istruzione, l'università, la ricerca come motore del Paese, che indichi la conoscenza come la priorità di un Governo che, come ha portato l'Italia in Europa con l'euro, in Europa la vuole mantenere con la formazione delle persone e in particolare delle nuove generazioni.

Un progetto di speranza che accompagni la scuola italiana e il Paese nel tempo difficile del governo della destra, che non li lasci soli nelle crescenti difficoltà, che riduca, per quanto possibile, il danno che è loro arrecato, che dia un diverso approdo alle attese della scuola e dell'Italia. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U, Misto-Udeur-PE e Misto-SDI).

RIPAMONTI (Verdi-U). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

RIPAMONTI (Verdi-U). Signor Presidente, noi insistiamo nel porre una questione pregiudiziale di costituzionalità, perché riteniamo che siano stati violati gli articoli 76 e 81 della Costituzione.

Il testo del disegno di legge in esame quantifica oneri per soli 12,7 milioni di euro per il 2003, 45,8 milioni per il 2004 e 66,2 milioni a decorrere dal 2005, questo "limitatamente alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria statali".

Gli oneri relativi al resto del provvedimento, ossia la parte principale della riforma, non sono stati né quantificati né coperti, in netto contrasto con l’articolo 81, quarto comma, della Costituzione.

Da una semplice quantificazione degli oneri derivanti dall'estensione dell'obbligo scolastico fino al diciottesimo anno di età, si rileva che essi annualmente potrebbero ammontare ad una misura di gran lunga superiore rispetto alla copertura prevista dal disegno di legge in esame.

La riforma dell'istruzione che coinvolgerà milioni di studenti, migliaia di professori e gran parte delle strutture del Ministero dell'istruzione, richiede, al fine del rispetto dell'articolo 76 della Costituzione, la specificazione nella legge delega di princìpi e criteri direttivi di natura finanziaria, assolutamente assenti.

Inoltre, la riforma dell'istruzione proposta presenterà certamente degli oneri. Essi però non sono stati quantificati né nella relazione tecnica, che riguarda solo la questione dell'iscrizione anticipata alla prima classe delle elementari, né nel testo del disegno di legge, ma la loro quantificazione è demandata a successivi momenti e a successivi strumenti legislativi.

Inoltre, signor Presidente, nella legge delega rimangono non quantificati gli oneri derivanti dal piano programmatico di interventi finanziari e dalle deleghe, che pure sussistono con ragionevole certezza e l'identificazione di tali oneri è rinviata al momento della formulazione del piano (e per la copertura alla legge finanziaria) e della presentazione di provvedimenti legislativi.

La normativa attuale non consente di prevedere nei decreti legislativi oneri che non siano già indicati in sede di legge delega e la procedura prevista nel testo altera dunque profondamente il senso della legge delega, poiché il rinvio alla legge finanziaria o ad altro provvedimento legislativo, non essendo peraltro giustificato da particolari incertezze o difficoltà nella determinazione dei costi della riforma, svuota di fatto la legge delega della responsabilità attribuita al legislatore delegante di reperire i mezzi necessari alla realizzazione dei princìpi in essa dichiarati, in aperta violazione dell'articolo 81 della Costituzione.

Signor Presidente, per le leggi delega vale quanto precisato nella sentenza della Corte costituzionale n. 226 del 1976, in cui la Corte, dopo essersi soffermata a lungo sulla possibilità di essere adita in argomento dalla Corte dei conti, ha giudicato incostituzionali le leggi delega n. 433 del 1973 e n. 167 del 1975, relative all'istruzione, per mancanza di copertura, con le seguenti parole: "Il principio risultante dal combinato disposto del terzo e quarto comma dell'articolo 81 consiste, infatti, nell'imporre al legislatore l'obbligo di darsi carico delle conseguenze finanziarie delle sue leggi, provvedendo al reperimento dei mezzi necessari per farvi fronte. Di regola, perciò, tale obbligo grava sul Parlamento, istituzionalmente preposto all'esercizio della funzione legislativa; così come grava invece sul Governo allorché, ricorrendo i presupposti di cui all'articolo 77 della Costituzione, si faccia esso stesso legislatore, sostituendosi in via di urgenza alle Camere nella forma del decreto-legge. Ma quest'ultima ipotesi differisce profondamente da quella della decretazione delegata, dove è soltanto in forza della previa legge delegante ed in ottemperanza alle disposizioni in questa contenute che il Governo assume l'esercizio della funzione legislativa. In tale ipotesi, deve essere, dunque, il legislatore delegante a disporre in ordine alla copertura della spesa".

Infine, signor Presidente, nella legislazione delegata il principio di responsabilità enucleabile dalle norme costituzionali ha un duplice contenuto, al quale è necessariamente vincolato l'esercizio della funzione legislativa del Governo e attiene sia alla definizione dei criteri direttivi (articolo 76 della Costituzione) sia al reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione di tali criteri (articolo 81 della Costituzione).

Questo duplice vincolo, che pone nella legge delega la premessa della decretazione delegata, viene disatteso nella legge delega di riforma del sistema scolastico italiano, che stiamo esaminando oggi. Il cardine della prospettata riforma è l'estensione dell'obbligo scolastico, ma a questa indicazione non corrispondono una definizione dei criteri e dei tempi di attuazione, né un'adeguata valutazione delle conseguenze finanziarie, né adeguate indicazioni ai fini della copertura.

L'importanza e la complessità degli obiettivi della riforma inducono a ritenere che gli oneri non quantificati siano significativi e ciò rende ancor più necessaria una loro stima nell'ambito della legge delega, anche indipendentemente dalla graduale realizzazione della riforma. Accettare la sussistenza di uno scarto temporale tra la decisione sugli oneri derivanti direttamente dalla legge delega, che i decreti legislativi devono semplicemente applicare, e la decisione sulla copertura, sia essa contenuta nella legge finanziaria o in altro provvedimento legislativo, rappresenta una rottura della prassi consolidata che aprirebbe un varco irreparabile in relazione al rispetto del principio di copertura.

Dal momento che secondo noi sono violati gli articoli 76 e 81 della Costituzione, ai sensi dell'articolo 93 del nostro Regolamento, chiediamo di non procedere alla discussione del disegno di legge delega, atto Senato 1306-B. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U e Mar-DL-U).

GIARETTA (Mar-DL-U). Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

GIARETTA (Mar-DL-U). Signor Presidente, devo anch'io sottolineare le motivazioni che ci hanno portato a porre una questione pregiudiziale. Il meccanismo generale di copertura dei decreti delegati, di cui a questo disegno di legge, con l'unica eccezione delle norme relative alla scuola dell'infanzia e alla scuola primaria statale, per le quali viene fissato un tetto di spesa, è integralmente imperniato sul rinvio a provvedimenti legislativi futuri che stanzino le risorse indispensabili per l'esercizio effettivo delle deleghe legislative.

Non so se i colleghi, a parte i componenti della Commissione istruzione, abbiano presenti le norme che sono state introdotte dalla Camera. Ritenendolo importante, do lettura del comma 8 dell'articolo 7 che prevede le norme di copertura finanziaria: "I decreti legislativi di cui al comma 7 la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie".

Questi decreti devono anche essere forniti di adeguata relazione tecnica. Potremmo limitarci a dire, signor Presidente, che avevamo ragione quando osservammo in Commissione e in Assemblea che il disegno di legge, così come presentato, non aveva idonea copertura.

La maggioranza della Camera ha avuto più coraggio della maggioranza del Senato e ha reso esplicita la questione da noi sollevata. L'introduzione da parte della Camera di una clausola di copertura, se risolve un problema formale, individua con molta chiarezza altri problemi di natura costituzionale che riguardano in modo particolare gli articoli 76 e 81 della nostra Carta fondamentale.

Si sta prefigurando in linea generale un meccanismo di formazione delle leggi, che questo Governo sta cercando di porre in essere con continuità, che viola complessivamente il meccanismo di formazione delle leggi previsto dalla nostra Costituzione.

Infatti, vi è un uso ormai ordinario di leggi delega che vengono presentate senza alcuna copertura, diventando così leggi manifesto. Il Governo e la sua maggioranza annunciano al Paese: noi faremmo le riforme in questo modo, se avessimo le risorse. Poiché le risorse non le abbiamo, intanto vi spieghiamo come le faremo, se e quando avremo le risorse disponibili per sostenere questi processi di riforma.

Oggi questo avviene per la delega sulla scuola, ieri per la delega fiscale, la delega sull’impianto legislativo in materia di federalismo, la riforma delle pensioni e degli ammortizzatori sociali. È un modo singolare di legiferare, perché priva l’opinione pubblica, non solo il Parlamento, di una certezza sul quando e sul quanto di queste riforme.

Inoltre, l’introduzione dello strumento del cosiddetto decreto taglia-deficit assegna un potere unilaterale al Ministro dell'economia di cambiare il contenuto finanziario delle leggi. Laddove il Parlamento individui la destinazione di determinate risorse a sostegno di iniziative legislative, il Ministro, senza alcuna possibilità del Parlamento di intervenire, si appropria di un potere e cambia il contenuto finanziario delle leggi.

Infine, abbiamo un terzo punto di attacco: la proposta, che per la verità non si è ancora tradotta in una precisa riformulazione del Governo, di intervenire nel meccanismo di formazione della legge finanziaria in una direzione che sostanzialmente indebolisce il potere del Parlamento.

Ecco, vedete, al di là del disegno di legge che abbiamo all’attenzione, noi leggiamo in questa iniziativa del Governo un tentativo di intervenire in modo strutturale in direzione di un intervento che deborda dalla corretta separazione dei poteri prevista dalla Costituzione. Deborda il potere del Governo in direzione dei poteri del Parlamento, vuole debordare il potere del Governo in direzione dei poteri costituzionalmente protetti dell’ordine giudiziario, deborda il potere del Governo in direzione di quello strumento delicatissimo per la democrazia che è il sistema dell’informazione.

E allora, tornando al disegno di legge delega che è alla nostra attenzione, debbo ancora sottolineare come argomentazione principale che in questo modo si registra una indubbia forzatura del vincolo costituzionale di copertura delle leggi di spesa, di cui all’articolo 81, quarto comma della Costituzione.

Il senatore Ripamonti ha giustamente ricordato come, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, per i decreti legislativi delegati che presentano oneri finanziari, questo meccanismo del vincolo di copertura debba intendersi riferito alla legge di delegazione; a maggior ragione quindi non può essere trasferito a interventi legislativi successivi. In tal caso, infatti, si introdurrebbe un indebito e inaccettabile vincolo per il legislatore futuro e per il Parlamento.

La violazione dell’obbligo costituzionale di copertura pare tanto più allarmante in quanto concerne oneri finanziari cui si contrappongono diritti soggettivi costituzionalmente protetti, qual è il diritto all’istruzione di cui all’articolo 34 della Costituzione.

I casi sono due, signor Presidente. Il primo è che la mancanza di un’effettiva disposizione di copertura finanziaria induca ad escludere che il provvedimento riconosca alcun effettivo diritto soggettivo né nell’immediato né in un futuro determinabile, giacché il testo non fornisce alcuna indicazione sulla cadenza e sulla successione temporale delle varie fasi attuative della riforma, particolarmente con le modifiche introdotte dalla Camera. Allora, la mancanza di una quantificazione certa degli oneri finanziari della riforma e il rinvio, per la loro determinazione a copertura, a una nuova decisione politica e legislativa del Parlamento negano e stravolgono lo stesso istituto della delega legislativa, come delineato dall’articolo 76 della Costituzione.

La Costituzione nostra, signor Presidente, è stata scritta in un italiano molto chiaro, che non si espone a dubbi interpretativi. L’articolo 76 dice: "L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di princìpi e criteri direttivi (…)".

Princìpi e criteri direttivi: ma come pensiamo che questa disposizione così chiara dell'articolo 76 della Costituzione possa essere osservata se dentro questi principi e dentro questi criteri non c'è l'indicazione dei costi che l'adozione dei provvedimenti previsti dalla norma legislativa proposta dal Governo comporta, se non c'è la certezza per i cittadini che, in relazione a quei costi, sono previste delle entrate precise nel bilancio dello Stato?

Ma se, viceversa intendiamo queste norme di delega del disegno di legge come immediatamente vincolanti per il Governo, la riforma in esse delineata risulterebbe semplicemente priva di copertura finanziaria e, come tale, dovrebbe essere giudicata incostituzionale ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.

Ecco, signor Presidente, colleghi e signora Ministro, questi sono i motivi che ci portano, ancora una volta, a porre una pregiudiziale di costituzionalità delle norme alla nostra attenzione; lo facciamo non solo per un puntiglio formale, ma per una grande questione sostanziale, che riguarda il rapporto corretto tra il Governo, la maggioranza e il Parlamento, che vuol dire rapporto corretto tra Governo e opinione pubblica. Mi meraviglio che un Ministro della pubblica istruzione accetti di presentare una riforma di cui poi non ha la possibilità di controllare le fasi di attuazione. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).

 

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che nella discussione su questioni pregiudiziali può prendere la parola non più di un rappresentante per Gruppo per non più di 10 minuti.

ASCIUTTI , relatore . Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

ASCIUTTI, relatore. Signor Presidente, io plaudo al comma 8 dell'articolo 7, così come modificato dalla Camera, e auspicherei anzi che la disposizione in esso contenuta fosse sempre prevista nelle leggi dello Stato.

Se leggiamo attentamente il comma 8, come lo stesso collega Giaretta ha fatto, in parte, credo, anche ben interpretandolo, rileviamo che vi si stabilisce una cosa molto chiara: che nel caso in cui i decreti legislativi comportassero nuovi costi o determinassero spese aggiuntive, allora è obbligatoria una nuova deliberazione di Camera e Senato riguardante le leggi di spesa. È questo un meccanismo di sicurezza per cui Camera e Senato saranno obbligati, nel caso in cui si determinino nuove spese, a deliberare.

Il motivo su cui i colleghi basano la questione pregiudiziale non sussiste, perché oggi la certezza di spesa non c'è. Per esserci certezza di spesa, dovremmo già stabilire qual è nella riforma il decreto delegato del Ministro e capire fino in fondo se ci sono o meno oneri aggiuntivi. Ma sappiamo con certezza che, nel caso in cui ci fosse, il decreto legislativo che comporta nuove spese, per poter essere attuato deve passare attraverso una legge che stanzi le risorse. Questa è la correttezza e la trasparenza di questo Governo nei confronti di Camera e Senato, a cui io plaudo e a cui noi tutti dovremmo plaudire.

Del resto, l'ultimo capoverso della sentenza n. 226 del 1976 della Corte costituzionale stabilisce che, nell'ipotesi sopraddetta, "Deve essere, dunque, il legislatore delegante a disporre in ordine alla copertura della spesa". Ben venga: nel caso di maggiori oneri, ove questi siano accertati, si deve tornare proprio in Parlamento. Io credo che, in luogo di porre una pregiudiziale, si dovrebbe ringraziare la Camera per aver aggiunto questo comma.

SOLIANI , relatrice di minoranza . Domando di parlare.

 

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

 

SOLIANI, relatrice di minoranza. Signor Presidente, contrariamente al senatore Asciutti, noi riteniamo che le questioni poste siano fondate, perché le modifiche apportate alla Camera a questo provvedimento, e all'attenzione dell'Aula oggi, se danno maggiore certezza circa il contesto di costituzionalità, non risolvono del tutto il problema.

Infatti, la circostanza che i decreti legislativi debbano essere vincolati per gli oneri finanziari a un provvedimento apposito è l'esplicitazione della prescrizione dell'articolo 81 della Costituzione, in base al quale le leggi devono essere sempre accompagnate dalla definizione degli oneri finanziari; cioè, il trasferimento non può essere fatto in futuro con interventi legislativi successivi.

L'articolo 81 della Costituzione è chiarissimo: stabilisce che per ogni legge che importi nuove o maggiori spese - quindi anche per la presente legge - occorre indicare la copertura, che qui invece viene rinviata. Noi quindi ci troviamo nella condizione di valutare oggi questo provvedimento insufficiente rispetto a quello che, con tutta chiarezza e semplicità, ma in modo sostanziale, prevede l'articolo 81 della Costituzione.

Non c'è scampo; si tratta qui di affermare il principio di responsabilità politica: ogni decisione - noi diciamo questa, non quelle future - recante un costo dev'essere accompagnata da una responsabilità precisa oggi.

Il tema non può essere rinviato: il tema riguarda l'oggi e quindi resta intatta la condizione che è stata precisata con le questioni di pregiudizialità, su cui noi esprimiamo un parere favorevole. Restiamo convinti che il problema non possa essere rinviato: esso attiene alla sostanza dei lavori di quest'Aula oggi. Questa legge e la copertura finanziaria che non c'è: in mezzo c'è l'articolo 81 della Costituzione, che illumina l'uno e l'altro aspetto ed è chiarissimo.

PRESIDENTE . Passiamo alla votazione della questione pregiudiziale.

 

Verifica del numero legale

RIPAMONTI (Verdi-U). Signor Presidente, chiedo la verifica del numero legale.

PRESIDENTE . Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).

 

Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).

 

Il Senato non è in numero legale.

Sospendo la seduta per venti minuti.

 

(La seduta, sospesa alle ore 10,30, è ripresa alle ore 10,50).

Presidenza del vice presidente DINI

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1306-B

PRESIDENTE . Riprendiamo i nostri lavori.

Procediamo nuovamente alla votazione della questione pregiudiziale.

 

 

Verifica del numero legale

 

CORTIANA (Verdi-U). Chiediamo la verifica del numero legale.

 

PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).

 

Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).

 

CORTIANA (Verdi-U). Signor Presidente, a fianco del collega Contestabile c’è una scheda inserita, ma non è presente alcuno.

 

PRESIDENTE. Colleghi, la verifica del numero legale richiede che i senatori che hanno una scheda inserita siano presenti in Aula e questo vale per ambedue le parti. Alle spalle del senatore Ripamonti, ci sono schede inserite, che invito gli assistenti parlamentare a togliere non corrispondendo ad esse senatori.

 

CORTIANA (Verdi-U). Ripeto che a fianco del senatore Contestabile c’è una luce accesa e non è presente alcuno.

 

PRESIDENTE. Il Senato è in numero legale.

 

 

Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1306-B

 

PRESIDENTE. Metto ai voti la questione pregiudiziale, posta dai senatori Ripamonti e Giarretta.

Non è approvata.

 

CORTIANA (Verdi-U). Chiediamo la controprova.

 

PRESIDENTE. Senatore Cortiana, non considero necessario procedere alla controprova.

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Malabarba. Ne ha facoltà.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, signora Ministro, ormai è prassi di questa maggioranza utilizzare la forma della delega come un caterpillar - se posso permettermi un’espressione derivante dalla mia formazione industrialista - che devasti anche quel poco che rimane della democrazia parlamentare.

La deprecabile accelerazione imposta poi dal Governo al procedimento ci dimostra lo scarso interesse che l’Esecutivo ha per il dibattito parlamentare. (Brusìo in Aula).

 

PRESIDENTE. Prego i colleghi di ridurre il brusìo e le conversazioni in Aula. Se non c’è interesse ad ascoltare gli oratori, si esca dall’Aula.

Prego, senatore Malabarba, prosegua il suo intervento.

 

MALABARBA (Misto-RC). Peraltro, la distrazione generalizzata su quel che si dice è purtroppo confermata anche su questo argomento.

Con il ricorso alla delega il Governo manifesta soltanto la volontà di agire nella totale discrezionalità, sottraendosi ad un voto di merito del Parlamento per quanto riguarderà - va da sé - i decreti legislativi attuativi. Una discrezionalità totalmente incosciente, dato che si propone un provvedimento che non prevede una copertura finanziaria adeguata, come ha chiarito la collega Soliani, e che consegna tutto nelle mani del ministro dell’economia e delle finanze Tremonti, la qual cosa - senza voler offendere nessuno - fa tremare le vene e i polsi, signora Ministro.

Per il 2003, infatti, la copertura è limitata a circa 12 milioni di euro; si tratta di una copertura talmente esigua da essere palesemente insufficiente per gli obiettivi di riforma che il testo si prefigge, indipendentemente da ogni giudizio di carattere pedagogico-didattico sui contenuti di merito.

Una sola considerazione su questa scelta: questo Governo ha già provato ad attuare a costo zero una riforma universitaria nata nella scorsa legislatura che noi avevamo già osteggiato allora. Qual è stato il risultato? Il caos generale: quasi nessun ateneo aveva i mezzi per applicare la riforma, che, d’altronde, per la sua stessa macchinosità, prevedeva costi esorbitanti, e oggi i maggiori atenei del nostro Paese rischiano il collasso finanziario.

Questo Governo, a quanto pare, sembra voler perseverare negli errori propri e in quelli altrui. Anche solo per questo aspetto riteniamo che il disegno di legge in esame sia da osteggiare fortemente.

Volendo però entrare nel merito del provvedimento, la nostra contrarietà non può che farsi ancora più decisa di fronte a quanto propone il Governo. Quella che ci troviamo di fronte è la proposta di un salto indietro nel tempo di circa quarant’anni: una controriforma classista - perché solo così possiamo definirla - che accentua quella funzione di selezionatore sociale che, purtroppo, l’istituzione scolastica sta assumendo sempre più in questi anni. Si introduce una più netta divisione tra due tipi di scuola: quella del fare, cioè la formazione professionale, e quella del sapere, cioè il sistema dei licei.

Non solo la separazione si espleta in una netta e rigida divisione tra i due sistemi di scuola, ma diversi sono anche i soggetti istituzionali chiamati a gestire i processi scolastici: i licei sono gestiti dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, mentre l’istruzione e la formazione professionale sono di competenza regionale, producendo così anche la rottura del sistema di istruzione nazionale e la frantumazione degli stessi livelli di formazione professionale tra una regione e l’altra, materia sulla quale annunciamo fin da ora la presentazione di uno specifico disegno di legge di Rifondazione Comunista.

Già nella discussione svolta in prima lettura al Senato avevamo evidenziato alcuni dati ISTAT. Ci sembra opportuno richiamarli per sottolineare che la nostra non è una posizione meramente ideologica (laddove parliamo di selezione di classe), ma scaturisce dalla constatazione di dati di fatto francamente allarmanti.

L’ISTAT ci informa che "per il figlio di un genitore con reddito appartenente al gruppo basso, la probabilità di frequentare fino a quattordici anni la scuola senza bocciature è del 18,3 per cento, mentre la probabilità di laurearsi è del 2,7 per cento. Le corrispondenti probabilità del figlio di un genitore della fascia alta sono del 3 per cento e del 19 per cento. Negli istituti professionali il 17,1 per cento abbandona dopo il primo anno delle superiori. Questi abbandoni, però, sono reclutati" - questo dichiara la relazione ISTAT - "pressoché esclusivamente in ragazzi che provengono da famiglie i cui genitori sono senza titolo di studio e vivono in condizioni sociali degradate o marginali". Questa è selezione di classe. Lei trova altre espressioni per definire il fenomeno in modo diverso, signora Ministro? (Il ministro Moratti interloquisce con alcuni senatori). Dubito che abbia interesse per questi argomenti e, giustamente, può continuare a discutere con i suoi interlocutori e non con il Parlamento.

In questo quadro si inserisce la vostra controriforma, acuendo la gravità della situazione, giacché le vostre proposte partono da una convinzione ben precisa che avete esplicitato nel rapporto Bertagna: "Si può ritenere che il fine prioritario dell’istruzione" - possiamo leggere in quel rapporto - "la sua differenza specifica, possa collocarsi nel conoscere, nel teorizzare. La formazione, invece, avrebbe più a che fare con il produrre, con l’operare, col costruire". Produrre, operare e costruire gratis per le imprese, verrebbe da dire andando avanti nella lettura del disegno di legge, in cui, ovviamente, non mancano i soliti aiuti alle aziende: prevedete, nell’alternanza scuola-lavoro, non solo di regalare alle imprese manodopera gratuita con la scusa degli stage, ma anche incentivi per quelle aziende che si dicono disponibili alla realizzazione dei percorsi di alternanza.

Anche volendo assumere la vostra ottica, ci risulta assai difficile capire perché l’impresa dovrebbe avere incentivi, mentre lo studente che lavora dovrebbe farlo gratis. Ma d’altronde, la vostra è una scuola di precarietà, una scuola che, con la formazione professionale, deve sfornare manodopera flessibile e a basso costo, il cui solo onere è un’alfabetizzazione della manovalanza ultraflessibile finanziata dallo Stato e gestita direttamente dalle aziende.

E deve farlo anche in fretta: ecco forse perché abbassate a due anni e mezzo e a cinque anni e mezzo l'età di iscrizione alla scuola dell’infanzia e alla scuola elementare e promuovete una canalizzazione precoce che, secondo le vostre proposte, dovrà essere fatta all’età di quattordici anni. Il fine è quello di "sfornare" giovane mano d’opera più in fretta e dare sempre più centralità al ruolo della famiglia, vista come il soggetto forte delle scelte di istruzione-formazione dei figli: è la famiglia che impone l’orientamento nella canalizzazione scolastica precoce dei ragazzi; la famiglia è il soggetto di interlocuzione con gli insegnanti, o meglio con l’insegnante, nella definizione del progetto formativo.

Oggi ci proponete una scuola ridotta al minimo, una scuola povera, una scuola che divide, una scuola piegata ai particolarismi e ad un aspetto confessionale ed etico omologante. Voi considerate la scuola una merce che può essere acquistata dalle famiglie sulla base delle disponibilità economiche. Considerate l’istruzione non un diritto, ma un bene di consumo. Una scuola che non è più un diritto della persona, ma diventa un servizio a domanda individuale, organizzato in modo gerarchizzato con la competizione tra gli insegnanti, con una mercificazione del sapere. Insomma, una scuola completamente subalterna al mondo dell’impresa e al mondo del lavoro; una scuola che fa dell’impresa, per accezione massima, luogo formativo.

È per questo che Rifondazione Comunista annuncia fin da ora che voterà contro la vostra proposta, fiduciosa che, anche se in quest’Aula riuscirete a procedere nella distruzione dell’istruzione pubblica a colpi di maggioranza, fuori saranno i movimenti sociali a fermarvi, ridando voce, autorevolezza, speranza ed alternativa al mondo della scuola, agli insegnanti, agli studenti ed al personale amministrativo nella sua unitarietà, per una riforma democratica dal basso, fondata sull’autogoverno della scuola. (Applausi dai Gruppi Misto-RC e DS-U. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Tessitore. Ne ha facoltà.

TESSITORE (DS-U). Signor Presidente, signora Ministro…(Il ministro Moratti è impegnata in una conversazione con il senatore Salzano).

 

PRESIDENTE. Effettivamente, la signora ministro Moratti viene disturbata continuamente dai colleghi, sia da una parte che dall’altra.

 

TESSITORE (DS-U). La ringrazio.

Confesso di provare un vero senso di disagio nell’intervenire ancora una volta su questo disegno di legge delega. Il disagio è provocato da una duplice constatazione. La prima è rappresentata - sono costretto a ripetermi - dalla sgradevole sensazione di una confermata blindatura del provvedimento, che in questa seconda lettura da parte del Senato è testimoniata dalla fretta di concludere; una fretta che, a mio giudizio, non trova reale giustificazione.

Credo, al contrario, che la situazione avrebbe finalmente consentito, se non un confronto, almeno la prospettiva di un confronto. Ritengo, infatti, che nessuno potesse ormai dubitare dell’approvazione della delega e questa stessa sicurezza avrebbe dovuto favorire la constatazione nei fatti e non nelle parole di una volontà di confronto quale la materia richiede. Ripeto che il confronto era nei fatti e non nelle parole.

Fino ad oggi l’opposizione è rimasta senza risposte e lo dimostra un dato incontrovertibile: il provvedimento esce dalle Aule del Parlamento sostanzialmente così come vi è entrato.

Questa seconda lettura in Senato poteva servire ad indicare una volontà di dialogo in considerazione anche del fatto che il provvedimento in parti rilevanti (perciò è una legge delega) è tutto da scrivere.

La volontà di confronto è mancata e l'opposizione è stata condannata ad un atteggiamento di dura contrapposizione, nonostante il tentativo di presentare proposte ragionevoli. Ciò è dimostrato dal numero davvero esorbitante di ordini del giorno, alcuni dei quali in contraddizione non solo tra loro, ma anche con punti rilevanti del disegno di legge.

Una siffatta situazione di contrapposizione a mio giudizio non giova a nessuno, in modo particolare in una materia così rilevante come la riforma della scuola.

La seconda ragione di disagio, che mi consente di passare dal metodo al merito dei problemi in discussione è rappresentata dalla possibilità di dire "lo avevamo detto": una persona seria non ha piacere di pronunciare una frase di questo genere. Tuttavia, non posso non rilevare che l'opposizione aveva da subito rilevato problemi di copertura; gli emendamenti presentati alla Camera mi sembra rendano oggi esplicita e confermino questa situazione; di qui le preoccupazioni, che enuncio rapidamente.

La prima modifica introdotta al comma 7 dell'articolo 7, rendendo esplicito un fatto ovvio (almeno a me così sembra), vale a dire la relazione tecnica di accompagnamento degli schemi dei decreti legislativi, ci pone di fronte una prospettiva inquietante: scarsa fiducia nell'attuazione di norme importanti, come gli articoli 1 e 4. Il comma 8 dell'articolo 7, come modificato, impone previ provvedimenti legislativi di copertura finanziaria dei decreti da adottare. Ciò significa avere la consapevolezza di un rischio: che l'effettiva attuazione di questa legge delega, per la quale la legge stessa prevede ventiquattro mesi, possa incontrare ostacoli, sempre che sia dato trovare la copertura finanziaria per norme rilevanti.

Mi sia consentita un'osservazione (probabilmente sbagliata, ma la espongo ugualmente) sulla copertura finanziaria del provvedimento. I casi sono due: o le misure previste sono coperte, e allora non si comprende il senso delle modifiche approvate dalla Camera, che si potrebbero quindi tranquillamente sopprimere, oppure una parte consistente di esse non ha copertura, e allora si determina una situazione paradossale. Non credo sia ipotizzabile nell'ambito di una legge delega l'emanazione di provvedimenti per i quali non si prevede la copertura finanziaria, perché, se così fosse, quegli stessi provvedimenti non potrebbero essere emanati. La copertura dovrebbe essere ragionevolmente prevista dalla legge delega per dare alla medesima una sua effettività.

Da queste considerazioni discendono due conseguenze che considero gravi. La prima, a mio giudizio, è la fondata previsione che i provvedimenti che il disegno di legge delega consente di emanare interessino soltanto aspetti marginali, per i quali già esiste la copertura finanziaria.

Ciò costringerebbe a prevedere la possibilità che anche questa riforma - nientemeno una riforma della scuola, uno dei temi centrali nei processi di modernizzazione del Paese - si inserisca nella già lunga serie delle riforme a costo zero, cioè le riforme che non servono e non sono realizzate.

La seconda preoccupazione, a mio giudizio, è rappresentata dal rischio che si indebolisca la dimensione sistematica del provvedimento. Il Ministro sa che ho enunciato questa preoccupazione già nella discussione in Commissione su punti che ritengo assai importanti. Il fatto che ciascun decreto delegato debba essere preceduto da provvedimenti legislativi di copertura espone al rischio di una ulteriore parcellizzazione, di ulteriore perdita di una dimensione che continuo a ritenere essenziale in un processo di modernizzazione del Paese. Stiamo parlando della scuola, della struttura portante di un Paese come il nostro, che non vuole abdicare ad un livello di alta civiltà e di sperimentata tradizione culturale.

Una situazione del genere apre una prospettiva inquietante, lo dico senza alcuna inflessione di carattere ideologico, che non mi appartiene. La dimensione di un fallimento annunciato non può che essere un danno grave per il Paese.

Per le ragioni che ho sommariamente enunciate, rinnovo le mie perplessità in ordine alla situazione che ci viene prospettata; perplessità accresciute dalla constatazione dell'impossibilità di dare un contributo affinché il provvedimento fosse migliorato. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Misto-SDI).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cortiana. Ne ha facoltà.

CORTIANA (Verdi-U). Signor Presidente, Ministro, colleghe e colleghi, trattiamo in terza lettura un testo che, per le ragioni esposte nella relazione dalla collega Soliani e ben argomentate dai senatori Ripamonti e Giaretta durante l'illustrazione delle questioni pregiudiziali, mette paradossalmente in luce con evidenza ancora maggiore, in conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 7 dalla Camera dei deputati, un problema di incoerenza costituzionale. Mi diffonderò successivamente su questo punto per le implicazioni rispetto alle possibilità effettive e all'efficacia di una legge di riforma indirizzata agli studenti, al personale docente e non docente, alle famiglie che costituiscono il mondo della scuola.

L'impressione forte – lo dico nella speranza che il mio atteggiamento non sia considerato di iattanza – è che il disegno di legge metta in luce che per questa maggioranza l'istruzione e la formazione sono un costo; un costo che non gode peraltro di adeguata copertura finanziaria, bensì di un'incerta, possibile, futura copertura. Per il modo in cui si è configurato questo provvedimento in combinazione con l'ultima legge finanziaria, la scuola, la formazione e l'istruzione non rappresentano un investimento per il Paese e un diritto per i cittadini giovani e meno giovani.

L’impressione forte - la senatrice Soliani ha fatto bene a evidenziarlo - è che, anche in un settore strategico come questo, piuttosto che di legge Moratti, come è già avvenuto per altre leggi (penso alle leggi relative al comparto della sanità), si parlerà di "legge Tremonti" o di "lodo Tremonti".

Il provvedimento è al nostro esame per una nuova lettura perché dalla Camera sono state apportate alcune modifiche alle disposizioni attuative e sulla copertura, con riferimento a oneri che vengono quantificati "limitatamente alla scuola dell’infanzia statale e alla scuola primaria statale" (comma 5 dell’articolo 7); gli oneri previsti sono di 12,7 milioni di euro per il 2003, 45,8 milioni di euro per il 2004 e 66,2 milioni di euro a decorrere dal 2005.

Gli oneri per il resto del provvedimento, ossia per la parte principale della riforma, quella che riguarda l’estensione dell’obbligo ad almeno 12 anni, da attuare con la revisione degli attuali cicli scolastici, l’alternanza scuola-lavoro, la verifica qualitativa dell’offerta formativa scolastica e la formazione degli insegnanti, non sono stati quantificati né previsti come copertura, in netto contrasto con l’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, come è stato già detto nella relazione di minoranza della collega Soliani e come hanno sottolineato i senatori Ripamonti e Giaretta.

Questi oneri, pur parziali (come abbiamo verificato con il nostro ufficio legislativo) rispetto al complesso della legge delega, annualmente potrebbero ammontare a regime a oltre venti volte la copertura prevista dal disegno di legge. Ci domandiamo con quali soldi sia ipotizzabile fare questo tipo di riforma.

Non vedo qui il collega Valditara, e non leggo il suo nome neppure fra gli iscritti in discussione generale: anche se aveva proposto un ordine del giorno, approvato in Senato nella scorsa lettura, in cui si ipotizzava un appostamento finanziario che non trova e non ha trovato alcuna corrispondenza. Oggi, mi aspetterei dal collega almeno delle argomentazioni, delle spiegazioni, delle giustificazioni per quell’ordine del giorno (che presumo fu concordato, dal momento che fu approvato con il parere favorevole del Ministro, che non si era rimesso all’Aula), visto che non c’è corrispondenza. Dal sempre attivo e presente collega Valditara mi aspetterei che mettesse la sua faccia su questa conseguenza, sicuramente non voluta da lui.

Infine, la riforma dell’istruzione, coinvolgendo milioni di studenti, migliaia di professori, gran parte delle strutture del Ministero dell’istruzione, ai fini del rispetto dell’articolo 76 della Costituzione, come già detto dai colleghi, necessita che nella legge delega siano specificati princìpi e criteri di natura finanziaria (limiti di spesa e/o di ripartizione della spesa tra i vari obiettivi e/o vari tipi di copertura cui fare ricorso come clausola di salvaguardia); ma tutto ciò che prescrive l’articolo 76 della Costituzione, invece nel disegno di legge non lo troviamo nel modo più assoluto. E, paradossalmente, come ricordavo, le motivazioni delle modifiche apportate dalla Camera hanno ulteriormente evidenziato questa mancanza.

La riforma dell'istruzione proposta comporterà certamente oneri, come abbiamo detto. Dal tentativo di calcolo e di analisi fatto dal nostro ufficio legislativo pare, a regime, che i costi ammontino ad un multiplo consistente rispetto alla copertura prevista dal disegno di legge. Questi oneri non sono stati quantificati né nella relazione tecnica, che riguarda solo il problema dell'iscrizione anticipata alla prima classe delle elementari, né nel testo del disegno di legge. La quantificazione della copertura è demandata a successivi momenti e a successivi strumenti legislativi, secondo la modifica apportata dalla Camera.

La quantificazione degli oneri non dovrebbe essere particolarmente complicata, visto che, come recita il disegno di legge, "un piano programmatico di interventi finanziari sarà presentato entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge", e che gli obiettivi di tale piano non sono stati cambiati nel corso dell'anno in cui la legge è stata in discussione in Parlamento. Inoltre, per la parte probabilmente più onerosa della riforma, ossia l'estensione "a tutti del diritto all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni", le grandezze rilevanti sono facilmente reperibili soprattutto dal Governo e dai suoi uffici.

Nella legge delega rimangono non quantificati gli oneri derivanti dal piano programmatico di interventi finanziari e dalle deleghe, che pure sussistono con ragionevole certezza. L'identificazione di tali oneri è rinviata al momento della formulazione del piano, e, per la copertura, alla legge finanziaria, e alla presentazione dei provvedimenti legislativi. Le somme necessarie alla copertura dei nuovi o maggiori oneri derivanti dall'emanazione dei decreti legislativi troveranno copertura in specifiche leggi promulgate prima dell'emanazione degli stessi decreti.

La normativa attuale non consente di disporre oneri nei decreti legislativi che non siano già indicati in sede di legge delega. La procedura prevista nel testo altera dunque profondamente il senso della legge delega, perché "il rinvio" alla legge finanziaria o ad altro provvedimento legislativo, non essendo peraltro giustificato da particolari incertezze o difficoltà nella determinazione dei costi della riforma, come ho detto poc'anzi, svuota di fatto la legge delega della responsabilità, attribuita al legislatore delegante, di reperire i mezzi necessari alla realizzazione dei principi in essa dichiarati.

L'attribuzione di questa responsabilità è radicata nelle intenzioni poste dai Costituenti a fondamento dell'articolo 81 della Costituzione. Come ebbe a chiarire Einaudi nella seconda Sottocommissione per la Costituente, la limitazione posta dall'articolo 81 all'iniziativa di spesa parlamentare aveva un "contenuto morale". Essa richiamava – sono parole sue – il Parlamento ed il Governo all'impegno di scelte finanziarie responsabili e sottoposte a norma di controllo e di giudizio.

A questo proposito, come ho detto anche ieri in Commissione in sede di illustrazione degli emendamenti alla presenza del sottosegretario Aprea, come centro-sinistra abbiamo presentato, come sapete, non molti emendamenti, tutti riconducibili ad un tentativo coerente, evidentemente, con le preoccupazioni che stiamo sollevando ed anche con le pregiudiziali che abbiamo proposto.

A questo proposito, proprio in coerenza con quanto ho detto finora, abbiamo presentato un emendamento che non definisce una quantità, bensì un criterio logico, legato alle aliquote relative ai redditi di capitale, fissando una percentuale massima (un tetto del 18 per cento) in relazione ad oneri che siamo certi ci saranno, come ne siete certi anche voi. Questo, a nostro avviso, renderebbe coerente la delega con un mandato chiaro e definito, in adempimento del dettato costituzionale.

In particolare, per le leggi delega vale quanto precisato nella sentenza della Corte costituzionale n. 226 del 1976 (il relatore era Crisafulli), che fino ad oggi è stata considerata giurisprudenza consolidata. In essa tale Corte giudica incostituzionali per mancanza di copertura le leggi delega n. 433 del 1973 e n. 167 del 1975, che, guarda caso, riguardavano l'istruzione, con le seguenti parole: "Il principio risultante dal combinato disposto del terzo e quarto comma dell'articolo 81 consiste, infatti, nell'imporre al legislatore l'obbligo di darsi carico delle conseguenze finanziarie delle sue leggi, provvedendo al reperimento dei mezzi necessari per farvi fronte. Di regola, perciò, tale obbligo grava sul Parlamento, istituzionalmente preposto all'esercizio della funzione legislativa; così come grava invece sul Governo, allorché, ricorrendo i presupposti di cui all'articolo 77 della Costituzione, si faccia esso stesso legislatore, sostituendosi in via di urgenza alle Camere nella forma del decreto-legge. Ma quest'ultima ipotesi differisce profondamente da quella della decretazione delegata, dove è soltanto in forza della previa legge delegante ed in ottemperanza alle disposizioni in questa contenute che il Governo assume l'esercizio della funzione legislativa. In tale ipotesi, dev'essere, dunque, il legislatore delegante a disporre in ordine alla copertura della spesa".

La sentenza della Corte costituzionale prosegue dicendo: "Non rileva, poi, ai fini del presente giudizio, accertare se, qualora eccezionalmente non fosse possibile, in sede di conferimento della delega, predeterminare rigorosamente in anticipo i mezzi per finanziare le spese che l'attuazione della stessa comporta, sia sufficiente che il Governo venga a ciò espressamente delegato, beninteso con prefìssione di princìpi e criteri direttivi, come vuole l'articolo 76, dal momento che, nella specie, di una delega siffatta non vi è traccia alcuna". Queste, dunque, erano le argomentazioni del parere della Corte costituzionale, contrario a quelle due leggi.

Pur non entrando nell'esame delle considerazioni della Corte dei conti relative all'articolo 76 della Costituzione, si indica una possibile limitazione a casi di impossibilità eccezionale nel determinare la copertura, che non valgono per il provvedimento in essere proprio per le ragioni che abbiamo detto prima, cioè che in questo caso non solo è prevedibile che ci saranno oneri, ma addirittura è prevedibile per noi stessi, che non disponiamo di un supporto di uffici studi come quelli del Ministero, la grandezza, che abbiamo potuto valutare pari almeno a venti volte l'ordine di grandezza che è previsto nella legge.

Inoltre, la Corte costituzionale nella sua ordinanza di rimessione, sembra dare indiretto supporto alle motivazioni espresse dalla Corte dei conti: "Ed anche ove fosse ipotizzabile un esplicito conferimento di potestà legislativa, in materia di copertura, al Governo, ciò non può avvenire senza la prefìssione, nella legge di delega, di principi e criteri direttivi, ex articolo 76 della Costituzione. E ciò non soltanto per quanto attiene alla scelta dei mezzi di copertura (revisione del sistema tributario; (…) istituzione di nuovi tributi; riduzione o soppressione di spese che già incidono, in via normale ed a tempo indeterminato, sul bilancio statale; eccetera), ma anche per quanto riguarda l'entità della spesa. E non è chi non veda come tali principi e criteri direttivi siano indispensabili, ove il legislatore primario non abbia provveduto direttamente al reperimento dei mezzi finanziari necessari per far fronte alla nuova o maggiore spesa, prevista da una legge diversa da quella di approvazione del bilancio, per vincolare il legislatore delegato".

Mutatis mutandis, se si ritenesse che la legge delega della riforma scolastica in esame non dovesse essere respinta per mancato rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, dovrebbe esserlo perché in contrasto con l'articolo 76 della Costituzione. Di qui le due pregiudiziali, sulle quali prima abbiamo interessato l'emiciclo.

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

 

(Segue CORTIANA). Dal 1976, nessuna altra legge delega ha dovuto subire i rigori della Corte costituzionale per mancato rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.

Nella legislazione delegata questo principio di responsabilità ha un duplice contenuto, al quale è necessariamente vincolato l'esercizio della funzione legislativa del Governo.

Esso attiene alla definizione di criteri direttivi (articolo 76 della Costituzione) e al reperimento dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione di tali criteri (articolo 81 della Costituzione). E' questo duplice vincolo che pone nella legge delega la premessa della decretazione delegata; ed è questo duplice vincolo ad essere disatteso nella legge delega di riforma del sistema scolastico italiano.

Il cardine della prospettata riforma è l'estensione dell'obbligo scolastico, ma a questa indicazione non corrisponde né una definizione di criteri e tempi della sua attuazione, né una adeguata valutazione delle sue conseguenze finanziarie, né adeguate indicazioni ai fini della copertura. Il disegno dei cicli scolastici prospettato nella delega non è infatti compatibile con la prevista gradualità nella estensione dell'obbligo scolastico. Non è pensabile che studenti si possano iscrivere ad una scuola in continuo divenire, che non garantisce regole certe sulla lunghezza degli studi, sui titoli che rilascia, sulle possibilità del successivo inserimento nell'università o nel mondo del lavoro. Né che queste regole "variabili" siano delegate al Governo senza l'indicazione di criteri e decisioni sui costi per la collettività.

L'importanza e la complessità degli obiettivi della riforma inducono a ritenere che gli oneri non quantificati siano significativi. Il che rende ancor più necessaria una loro stima nell'ambito della legge delega, anche indipendentemente dalla graduale realizzazione della riforma.

Desideriamo qui soffermarci su alcuni aspetti. In primo luogo, qualora la legge venisse ritenuta costituzionalmente coerente, si creerebbe dal punto di vista giurisprudenziale, una innovazione devastante nelle relazioni tra Parlamento ed Esecutivo, come abbiamo già ripetutamente detto e desideriamo nuovamente segnalare.

Ma vi sono altri due elementi cui voglio fare cenno. Il primo di essi, su cui ritengo il collega D’Andrea poi si soffermerà e che comunque era stato già ripreso nella relazione di minoranza della senatrice Soliani, concerne il fatto che l’abrogazione sia della legge n. 9 del 1999, sia della legge n. 30 del 2000, senza prevedere alcuna norma transitoria, non darà possibilità di copertura legislativa per una serie di fondi che pur sono previsti. Vengono minate le basi giuridiche di riferimento del Fondo per l’offerta formativa delle istituzioni scolastiche autonome, del Fondo per il sostegno all’handicap, per la parte relativa all’integrazione oltre il livello dell’obbligo, del raccordo con l’articolo 68 della legge n. 144 del 1999. È questo un problema che resta aperto e pesante.

E non mi soffermerò sulle contraddizioni presenti nei dispositivi delle decine di ordini del giorno approvati alla Camera dei deputati.

 

PRESIDENTE. Senatore Cortiana, il tempo a sua disposizione sarebbe terminato.

 

CORTIANA (Verdi-U). Presidente, posso avere ancora un minuto, anche per il rapporto di rispetto che vi è con il ministro Moratti?

 

PRESIDENTE. Va bene, le concedo ancora un minuto.

 

CORTIANA (Verdi-U). La ringrazio.

Pur nella differenza di approcci, non è in discussione la buona fede con cui il Ministro si è messa ad operare relativamente alla scuola. L’abbiamo visto allorquando per l’edilizia scolastica abbiamo chiesto un segno e lei lo ha dato. Però abbiamo visto le risposte del ministro Tremonti e dello stesso Berlusconi.

Quindi, Ministro, quanto noi affermiamo non intende mettere in discussione il suo atteggiamento; vi è da parte nostra l’amara constatazione del fatto che lei cerca di fare quello che può con "i fichi secchi". Ma qui non ci sono neppure più i fichi e quindi di nozze per la scuola francamente non se ne vede traccia all’orizzonte. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U e Mar-DL-U).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Acciarini. Ne ha facoltà.

ACCIARINI (DS-U). Signor Presidente, signor Ministro, signori colleghi, devo dire che sono rimasta molto colpita dalle osservazioni fatte dopo il voto di questo testo alla Camera dei deputati. Si è sostenuto che esso sarebbe venuto al Senato per un mero, rapido, passaggio tecnico. E devo dire che se il motivo del ritorno fosse stato l’errore, spiegabilissimo e giustificabilissimo, nell’indicazione degli anni finanziari - cioè il fatto che non fosse indicato il 2003 bensì il 2002 come anno di partenza del provvedimento e che vi fosse la previsione del 2005 anziché del 2004 come anno conclusivo -, avrei considerato questo davvero un mero passaggio tecnico.

Tra l’altro, sono cose che possono succedere a tutti. In realtà, invece, mettendo uno insieme all’altro - come adesso farò - i punti emendati dalla Camera, ho rilevato che questo, di fatto, non è un mero passaggio tecnico.

Tutti i senatori dell’opposizione hanno affrontato con serietà, pur con tempi eccessivamente affrettati, la discussione in Commissione, la presentazione degli emendamenti, e stanno ora affrontando la discussione e la votazione in Aula, ed è emerso chiaramente, mettendo queste modifiche una dietro l’altra, che l’intervento della Commissione bilancio della Camera dei deputati ha sottolineato, dando ad esse una valenza diversa, le omissioni del testo precedente.

Mi soffermo sul primo punto modificato: l’introduzione della dizione "nella misura massima" anziché "entro il limite massimo". Può sembrare una correzione formale ma non lo è, perché a monte di tutto questo dibattito vi sono le relazioni tecniche che riguardavano appunto il tema affrontato dal comma 5 dell’articolo 7, cioè l’anticipo dell’ingresso nella scuola d’infanzia e nella scuola elementare.

Allora, ponendosi le cose in questo modo, questa "misura massima" così rigidamente indicata è veramente il segno di che cosa si potrà fare in materia di anticipo scolastico. Sulle cifre poi avremo modo di ritornare anche in sede di discussione degli emendamenti, ma noi riteniamo che i dati e le relazioni tecniche si dimostrino inadeguati per affrontare l’estensione della possibilità di iscriversi in anticipo alla scuola dell’infanzia e alla scuola elementare. Avremo poi modo, signora Ministro, di riprendere questo tema indicando le cifre, perché adesso sto intervenendo in discussione generale e quindi non voglio tediarvi con i numeri, ma devo sottolineare che questo punto mette in evidenza ormai chiaramente il limite enorme di questa possibilità.

Vede, signora Ministro, non le parlo più di testi scritti ma di persone, di famiglie, di tutti coloro che noi incontriamo e ci chiedono, come è giusto, notizie indipendentemente dal fatto che si sia esponenti della maggioranza o dell’opposizione. Giustamente i cittadini italiani vogliono essere informati.

Qualche giorno fa, una giovane mamma mi ha telefonato chiedendomi che cosa sarebbe successo a sua figlia che si trova in una fascia d’età per cui avrebbe potuto essere interessata all’anticipo. Le dico sinceramente, signora Ministro – e non perché sono all’opposizione - che ho proprio cercato di risponderle come quando ero una giovane mamma e avrei voluto che qualcuno mi rispondesse in modo realistico, senza interpretazioni ideologiche, dicendomi veramente che cosa poteva accadere. Purtroppo non sono stata in grado di spiegare a questa mamma che cosa poteva accadere, quale sarebbe stato il panorama in cui si sarebbe trovata a gestire l’ingresso nella scuola di sua figlia.

In effetti, noi conosciamo il limite della spesa e le relazioni tecniche ce lo confermano; ce lo conferma però anche il testo, perché in un provvedimento che è stato blindato non solo per l’opposizione ma anche per la maggioranza, se c’è stata una modifica, ebbene questa è intervenuta per dire che gli anticipi vengono fatti secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione. Sottolineo poi che per fare una sperimentazione non è necessario approvare una legge "compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal Patto di stabilità".

Quindi, innanzitutto bisogna richiedere informazioni sulla residenza e sulla situazione nella quale si colloca il contesto familiare. Si dovrà poi affermare ciò che comunque è stato ripetuto più volte dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato, che in questo si sono rivelate entrambe serie, e cioè che la platea degli aventi diritto già individuata si può allargare o restringere a seconda delle necessità dettate dalle norme.

Ovviamente, quindi, non ho potuto far altro che augurare alla mia interlocutrice di far parte di questa platea, come quando si arriva tardi a teatro senza prenotazione e si spera di trovare ancora il biglietto per entrare.

Questo è un problema molto serio ma, al di là delle dichiarazioni mediatiche che - capisco - possono essere anche piacevoli, non è serio annunciare alle famiglie italiane che hanno questa possibilità. Bisogna invece dire che per gli italiani è prevista una cifra modesta, ridotta rispetto al necessario.

Si può anche discutere sotto altri punti di vista, perché la politica economica del Governo assume un’altra direzione - e questo è stato già evidenziato da alcuni colleghi - ma è comunque importante dire come stanno effettivamente le cose. Evidentemente, si tratta di scelte politiche e sarà sufficiente leggere il testo del provvedimento quando sarà legge, per capire, ma i cittadini hanno bisogno di un messaggio chiaro.

Rivolgo quindi un invito a non creare aspettative che poi potrebbero essere deluse. Questo sarebbe grave per le istituzioni tutte, signora Ministro, non soltanto per lei o per la parte politica che lei rappresenta.

Il tema della relazione tecnica, poi, si è rivelato molto delicato in passato, in prima lettura, tant’è che un’altra fondamentale modifica riguarda proprio il comma 7 dell’articolo 7 del disegno di legge nel quale si crea la precondizione per capire che cosa accade in merito ai decreti legislativi, in forza della legge delega.

Fatte salve tutte le osservazioni espresse da chi mi ha preceduto, sulle quali non torno dal momento che sono talmente documentate e rigorose che non potrei aggiungere altro, rilevo che c’è in questo testo di legge una fortissima attenzione nel dire che ogni provvedimento deve essere accompagnato da una relazione tecnica perché si deve prevedere se esso comporterà o meno oneri di natura finanziaria. Da ciò poi discende la successiva disposizione, contenuta nel comma 8 del medesimo articolo, con la quale si stabilisce appunto che "i decreti legislativi di cui al comma 7 la cui attuazione determini nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica sono emanati solo successivamente all’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie".

È necessario però leggere il combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’articolo 7 per capire che il comma 7 dà il segnale di una fortissima preoccupazione, a mio giudizio anche giustificata - mi spiace evidenziarlo - dalle vicende parlamentari di questo testo. Si è detto che non era possibile lasciare in vigore la semplice disposizione relativa alla copertura dei decreti legislativi che comportassero nuove e maggiori spese, poiché per ogni decreto bisognava prevedere la relazione tecnica, in modo da individuare quei pochissimi decreti - ho l’impressione che saranno quasi inesistenti - che potranno essere emanati senza la previsione della corrispondente copertura finanziaria.

È quindi perfettamente coordinata la norma successiva che stabilisce un intervento consultivo da parte delle Commissioni parlamentari competenti, e di questo non possiamo che essere contenti; il comma 9, infatti, rafforza questa previsione perché stabilisce appunto che "il parere di cui all’articolo 1, comma 2, primo periodo, è espresso dalle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario".

Pertanto, se si mettono in fila queste modifiche apportate dalla Camera, il complesso di tale dispositivo desta fortissima preoccupazione perché queste numerose modifiche all’occhio di chi legge ma anche, credo, di chi conosce la scuola, richiedono tutte stanziamenti di risorse per rappresentare previsioni serie.

Dato che nel provvedimento sono iscritte a bilancio cifre modestissime (rispetto alla portata di quello che viene previsto), si afferma cautamente che, poiché il disegno di legge delega ha la caratteristica non di innovare immediatamente su questi temi, ma di prevedere un decreto avente forza di legge (è il caso in cui il Parlamento trasferisce la potestà legislativa al Governo), si mettono paletti molto precisi, affinché non avvengano sconfinamenti di carattere finanziario.

Ciò conferma quanto è stato già affermato e che io mi sento di ripetere, vale a dire che le risorse per questa legge sono soltanto quelle iscritte e che ho precedentemente citato sull’anticipo scolastico; ribadisco, pertanto, che sono inadeguate anche per far fronte solo a quella parte del provvedimento.

L’altro problema si pone immediatamente dopo. L’articolo 1 prevede che venga predisposto un piano programmatico di interventi finanziari entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Ripeto: per la realizzazione delle finalità (cioè tutta la parte introduttiva) entro novanta giorni deve essere predisposto un piano programmatico di interventi finanziari.

Poi, viene stilato un elenco estremamente generico. Ritengo che questa parte della delega sia di fatto al di fuori del dettato costituzionale che prevede la determinazione dei princìpi e criteri direttivi, perché si tratta - appunto - di un mero elenco; non c’è alcun segno, ma ci sono soltanto annunci.

Anche in questo caso - ripeto - avrei preferito una maggiore chiarezza o precisione, perché la delega è istituzionalmente un atto di ricatto: si tratta dell’organo legislativo che dice all’organo esecutivo che può esercitare la sua abituale potestà.

Bisogna, dunque, prestare molta attenzione su questo tema, come è stato già evidenziato da molti colleghi e sul quale, pertanto, non intendo soffermarmi.

Voglio, invece, esaminare gli effetti sulla scuola di questo elenco e di questa idea del piano programmatico di interventi finanziari. In effetti, signora Ministro, in questo caso non è possibile andare oltre nell’ignorare cosa stia avvenendo nella scuola. Dietro ai temi elencati - ripeto in maniera generica - si celano o sono prevedibili le grandi questioni su cui in questo momento la scuola sta vivendo giornate molto buie. È un’oscurità, però, non determinata da qualche evento: sono state le due finanziarie varate da questo Governo che hanno creato tempi bui per la scuola. Mi verrebbe quasi voglia di dire che alcune difficoltà della scuola fanno addirittura pensare che tra poco mancherà davvero la luce, in senso fisico, intendo.

Voglio ripercorrere singolarmente tutti i punti elencati per evidenziare cosa intende prescrivere il piano finanziario, posto che non c’è nulla a fronte di questo nella parte conclusiva del provvedimento, cioè quella che prevede gli stanziamenti.

Il primo punto si riferisce alla valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Ecco, signora Ministro, abbiamo presentato alcuni emendamenti, che spero lei abbia avuto modo di esaminare. In realtà, abbiamo preparato un numero esiguo di proposte emendative e credo ci sia stato riconosciuto che non c’è un intento ostruzionistico. Si tratta, infatti, di emendamenti di sostanza – e realmente bipartisan – volti proprio a recuperare quello che la scuola sta perdendo, cioè il fondo per il finanziamento dell’offerta formativa, che è un caposaldo dell’autonomia scolastica (legge n. 440 del 1997).

Mi spiace se vi tedierò con un elenco di cifre, ma ritengo che esse siano importanti. Il fondo per l’autonomia, di cui alla lettera a) del comma 3 dell’articolo 1 si è andato depauperando di anno in anno, passando da 258 milioni di euro nel 2001, a 238 milioni di euro nel 2002, a 214 milioni di euro nel 2003 e a 198 milioni di euro nel 2004.

In più c'è il "decreto taglia spese" che in certi casi ha privato le scuole della parte corrente, relativa alle spese minute. Non voglio entrare nei particolari, ma qualcuno può anche immaginare quali siano le necessità immediate delle scuole.

I capi di istituto ve lo stanno dicendo in tutte le lingue, ho letto con piacere - perché apprezzo le persone che hanno il coraggio di dire le cose - un articolo sull’"Unità" nel quale un preside scriveva che ogni anno sta perdendo il 20 per cento delle risorse della sua scuola, avendo avuto già nell'anno precedente solo l'80 per cento delle risorse a disposizione.

Come si può pensare di legare ad una situazione di depauperamento di questo genere un'idea di valorizzazione? Sarebbe più serio dire che si sta cercando di impoverire e non di valorizzare l'autonomia scolastica.

Le risorse per il servizio nazionale di valutazione sono di segno negativo. Per quanto riguarda l'innovazione tecnologica ho presentato un'interrogazione, rispetto alla quale spero di avere le puntuali risposte - non riguardo ai tempi - che normalmente la sottosegretario Aprea mi fornisce. Anche in questo caso non è stata prevista alcuna risorsa aggiuntiva; state vivendo della rendita che ha lasciato il Governo precedente, che aveva stanziato delle risorse effettive; non c'è nulla di più. L'innovazione tecnologica, se ricordo le famose "i" della propaganda elettorale del vostro Presidente del consiglio avrebbe dovuto essere oggetto di una precisa scelta.

Per quanto riguarda lo sviluppo dell'attività motoria - lettera d) - e la valorizzazione professionale del personale docente - lettera e) - dell'articolo 1 (non voglio fare polemica, la mia è un'analisi seria) devo prendere atto che per il 24 marzo è stato proclamato uno sciopero generale da parte di tutti i sindacati della scuola per questo contratto.

E quanto alla formazione iniziale, cosa scriverete? Quale progetto emerge nella confusione totale in cui state gestendo il rapporto con i giovani e i meno giovani che vogliono entrare nella scuola? L'articolo 5, come formulato, i sistemi di attribuzione dei punteggi, i risultati dei ricorsi al TAR, le dichiarazioni che vengono attribuite su questo tema, stanno creando il caos.

L'altro punto, su cui ritengo sia dissennato scatenare una guerra tra poveri, mettendo contro una certa categoria di persone, che vogliono accedere alla scuola (che a me non piace chiamare precari) e che aspirano ad avere un posto stabilizzato con un certo percorso di carriera, rispetto ad altri che ne hanno uno differente, è anch'esso di natura finanziaria. O vi attenete a quanto previsto dalla legge n. 124 del 1999, oppure se continuate a contrarre, vi sarà una lotta anche con aspetti pesanti, forse indipendentemente dalla volontà del Governo ma con esiti terribili per il rapporto civile tra le persone nelle scuole.

Per questo piano finanziario da fare entro novanta giorni, dovete riportare le cifre al precedente livello, altrimenti non saranno garantite le condizioni di partenza. Ripristinate quindi quanto avete distrutto prima di pensare a fare meglio.

Ho parlato di cose concrete, signora Ministro. L'esame di questo provvedimento non è un semplice passaggio tecnico, è un passaggio serio perché indica alla scuola cosa le succederà in futuro.

Più volte ho cercato di spiegare la questione con toni anche troppo appassionati, ma la scuola è il mondo a cui ho dedicato tantissimi anni della mia vita, con molto entusiasmo, molta partecipazione, anche di coloro che lavoravano con me e ai quali sto pensando in questo momento.

Sono veramente preoccupata: quali saranno gli effetti? Quale tipo di scuola state costruendo? Ho l'impressione che non abbiate le idee chiare e questo è forse l'aspetto maggiormente preoccupante. Sono state spese molte parole e sono state enunciate molte affermazioni generali di principio, ma sono state espresse idee confuse sugli ordini di scuola e, soprattutto, non si sta compiendo la scelta politica seria di destinare risorse alla scuola. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Misto-SDI e del senatore Filippelli).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore D'Andrea. Ne ha facoltà.

*D'ANDREA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signora Ministro, signora Sottosegretario, colleghi, torna all'esame del Senato, per le modifiche introdotte dalla Camera all'articolo 7, il disegno di legge delega sull'istruzione.

L'articolo 7 era stato caratterizzato da un iter molto tormentato già in sede di prima lettura al Senato: su di esso, nel corso del nostro primo esame, avevamo a lungo concentrato la nostra attenzione, come è stato ricordato dalla senatrice Soliani; era stato oggetto di diverse modifiche e rifiniture rispetto al testo inizialmente proposto dal Governo, fino a prevedere una sorta di gabbia contabile e procedurale.

Rifiniture e modifiche rivelatesi insufficienti, secondo la valutazione della Camera, per superare il rischio di violazione dell'articolo 81 della Costituzione. Le ulteriori modifiche non sono di secondaria importanza, contrariamente a quello che si vorrebbe far credere, e sono tuttavia ancora insufficienti, come hanno detto i senatori Giaretta e Ripamonti presentando le pregiudiziali discusse in apertura della seduta, non solo dal punto di vista della legittimità costituzionale ma anche sotto altri profili.

L'articolo 7, nella versione al nostro esame, nega più di quanto affermi; pone limiti, senza indicare vie di uscita; per superare la palese mancata copertura finanziaria è costretto a prescrivere una relazione tecnica per ciascun decreto legislativo di attuazione, incluso il piano programmatico di interventi, che rappresenta il motore finanziario e attuativo della riforma proposta. Si spinge poi a prescrivere una legge di spesa preventiva rispetto a ogni nuovo impegno finanziario, negando così ogni certezza al suo disegno attuativo, ivi compresa la possibilità di trasferire a regime la sperimentazione dell'anticipo graduale dell'età scolare.

Siamo quindi di fronte ad una situazione paradossale. Delle due l'una: o le disposizioni contenute negli articoli 1 e 4 sono acqua fresca e non comportano nuovi oneri, oppure si prevede che possano avere un reale contenuto innovativo, pur attraverso un percorso che non abbiamo condiviso e non condividiamo, diretto a rendere possibili azioni positive finalizzate al potenziamento del sistema nazionale di istruzione, dell'offerta formativa, del sostegno all'integrazione, delle più articolate opzioni messe a disposizione dei nostri giovani, del sostegno a capaci e meritevoli, perché si possa conseguire l'obiettivo di assicurare - cito testualmente ciò che avete previsto all'articolo 2, comma 1, lettera c) del provvedimento in esame - "a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età". Cosa che realizzerebbe, secondo voi, addirittura più compiutamente la previsione dell'obbligo scolastico di cui all'articolo 34 della Costituzione e dell'obbligo formativo di cui all'articolo 68 della legge n. 144 del 1999.

Se fosse così, se l'obiettivo fosse realmente questo, dobbiamo domandarci: con quali risorse potrà essere sostenuto tale sforzo? Con i tagli alle spese previsti dalle due finanziarie succedutesi, che stanno scardinando la tenuta del sistema pubblico di istruzione, con effetti disastrosi sulle prospettive occupazionali e di rinnovamento del corpo docente, e con l'annunciata chiusura di presidi scolastici nei territori che più ne avrebbero bisogno, proprio perché investiti da processi di depauperamento e di mancato incremento demografico?

Forse con i risparmi rinvenienti dall’abrogazione delle leggi n. 9 del 1999 e n. 30 del 2000, che produrrà l’eccellente risultato evocato dalla senatrice Soliani e su cui tornerò tra poco? Anche la nuova legge di spesa, prescritta in maniera condizionante dall’articolo 7, comma 8, con quali risorse potrà essere alimentata? E se non ve ne saranno, pensate davvero che sia possibile prolungare all’infinito questo stato di apnea che avete imposto alla scuola italiana, rifiutandovi di adempiere, come era vostro dovere, a leggi approvate dal Parlamento e vigenti tuttora? Risulterà, ahimè!, allora ancora più evidente l’atto di irresponsabilità che avete compiuto, al di fuori di ogni considerazione dell’interesse della Nazione, solo per assecondare un’esigenza di carattere elettorale e propagandistico.

Quello odierno, colleghi della maggioranza, è dunque tutt’altro che un adempimento meramente burocratico e formale. Onorevole Ministro, non vorrei dispiacerle, ma non si illuda: purtroppo per lei e per la scuola italiana oggi il Parlamento non le sta dando via libera per la fase attuativa; piuttosto, la sta prendendo in ostaggio. Senza impegni precisi del suo collega Ministro dell’economia, senza impegni formali del Governo di cui fa parte, a cui non sarà possibile adempiere con l'ennesima conferenza stampa o con ulteriori annunci propagandistici, come magari vi preparate a fare: solo parole. E senza impegni precisi della sua maggioranza parlamentare. Presidente Asciutti: nemmeno uno straccio di ordine del giorno! Eppure, ne avete presentati tantissimi e il Governo li ha accolti quasi tutti, anche quando erano tra loro contraddittori, svilendone il significato. Lo stesso ordine del giorno Valditara sembra diventato ormai un fossile, un reperto archeologico; non ne viene riproposta una versione aggiornata, forse per evitare di sfiorare il ridicolo.

Non ripeterò in questa sede le nostre valutazioni negative di metodo e di merito. Le hanno già richiamate la senatrice Soliani, il senatore Tessitore, il senatore Cortiana e la senatrice Acciarini; quelle che ci hanno indotto a votare contro il provvedimento già in prima lettura e che, oggi, ci rafforzano nell’atteggiamento contrario in questo definitivo passaggio parlamentare. Noi siamo convinti che il disegno di legge violi la Costituzione, per l’ampiezza e l’indeterminatezza della delega, perché non tiene conto delle modifiche introdotte al Titolo V della Parte seconda, pur prendendole a pretesto per abrogare la legge n. 30, perché non assicura la copertura finanziaria necessaria, ai sensi dell’articolo 81. Abbiamo sollevato le pregiudiziali affinché ne resti memoria nel procedimento preparatorio.

L’onorevole relatore, che ci ha dato atto dell’atteggiamento responsabile dell’opposizione, ci ha invitato a non far mancare il nostro contributo in sede di definizione dei decreti delegati. Non mancheremo di farlo, senatore Asciutti, cercando di passare attraverso le maglie al tempo stesso troppo strette e troppo larghe, di questa legge delega, per limitare i danni, per difendere, ai limiti del possibile, le grandi conquiste di cinquant’anni di scuola democratica, per neutralizzare il più possibile i rischi di involuzione della politica scolastica, per utilizzare il più possibile qualsiasi strumento di rafforzamento e di ammodernamento del sistema pubblico di istruzione. Faremo il nostro dovere, fino in fondo, per tener fede al mandato ricevuto dagli elettori; ma non ci facciamo illusioni, nonostante inviti e dichiarazioni di apertura, perché l’esperienza vissuta da aprile a oggi è stata molto deludente: sorrisi e cortesie formali, per la verità, non sono mancati, ma maggioranza e Governo si sono sottratti a un confronto vero.

Gli emendamenti accolti si contano sulla punta delle dita; e non solo i nostri, per la verità, di esponenti dell'opposizione, ma anche quelli della maggioranza, se si fa eccezione per qualche rara incursione dei colleghi Asciutti e Valditara: una blindatura a prova di bomba per un iter molto strano.

Alcuni colleghi della maggioranza non erano e non sono entusiasti di questo disegno di legge delega che pure oggi sono tenuti ad approvare forse per liberarsene. Di fronte ai dissensi emersi in Consiglio dei ministri, cari colleghi, vi avevano promesso di correggerli in Commissione al Senato; lì vi hanno promesso che avrebbero rimediato in Aula; in Aula vi hanno detto che, in realtà, la vera riforma si sarebbe fatta alla Camera; alla Camera i lavori sono stati organizzati attraverso la procedura d'urgenza, puntando ad approvare tutto così come era, con ricorso ampio agli ordini del giorno e promettendo ancora una volta che quel che contava sarebbe stato affrontato in sede in definizione dei decreti delegati.

Non illudetevi neanche voi! Nel modello di Governo si sta seguendo non c'è spazio per la partecipazione di associazioni professionali o di organizzazioni sindacali, che unanimi si lamentano di questo, del metodo e del merito delle scelte; non c'è spazio per un vero confronto politico parlamentare. A stento si ascoltato i cenacoli ristretti, quelli favorevoli, che appartengono alla corte o che sgomitano per entrarvi. Non si dà luogo ad un confronto aperto, franco, leale con il Parlamento e con il Paese.

Ad oggi dunque delle azioni positive vagheggiate non resta nulla: altro che grande disegno riformatore all'altezza dei tempi! Quel che produce i suoi effetti disastrosi è per ora solo l'espressa e sommaria immediata abrogazione delle leggi n. 9 del 1999 e n. 30 del 2000. La spinta alla controriforma, colleghi della maggioranza, vi ha preso troppo la mano. Con l'entrata in vigore di questa legge non avrete cancellato solo l'architettura dei cicli voluta dall'Ulivo o l'elevazione dell'obbligo scolastico a 15 anni, che a torto continuate a considerare un obiettivo antidiluviano.

Ho già avuto modo in Commissione di rileggere i testi delle leggi che vengono abrogate, lo hanno già ricordato i colleghi Soliani e Cortiana. Io invito tutti a farlo: vi accorgerete che, come è stato ricordato, con l'abrogazione della legge n. 9 sull'obbligo scolastico cessa la garanzia del diritto a frequentare le iniziative formative volte al conseguimento di una qualifica professionale per coloro che non riescono a raggiungere un titolo di studio, scompaiono le misure attive sull'ultimo anno dell'obbligo volte a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, si perde il credito formativo per chi non consegue il diploma o una qualifica, si minano le basi giuridiche del Fondo per l'offerta formativa, almeno per la parte relativa alle attività di sperimentazione da parte delle istituzioni scolastiche autonome nonché del fondo per il sostegno all'handicap, almeno per la parte relativa all'integrazione oltre il livello dell'obbligo; ma anche del raccordo con l'articolo 68 della legge n. 144 del 1999. E l'abrogazione della legge n. 30 ha a sua volta conseguenze devastanti. L'unica per tutte che intendo ricordare riguarda le implicazioni che essa avrà, in rapporto con la summenzionata legge n. 144 del 1999, sulla deroga riconosciuta alle Province autonome di Trento e Bolzano per la disciplina dell'obbligo scolastico; ed infine il venir meno della possibilità di individuare, in deroga alla normativa vigente, con provvedimento del Ministro, i titoli universitari e curriculari di accesso alle professioni, e così via.

Potrei andare avanti ancora con queste preoccupazioni, signora Ministro; mi rendo conto che forse è monotono, e lei considererà monotono, questo mio ossessivo richiamo a queste questioni. Ma vorrei tanto essere smentito, con argomentazioni, se ve ne sono, che possano neutralizzare le nostre preoccupazioni, o con fatti, se avrete l'umiltà di rimediare all'errore compiuto.

Diversamente, danni immediati andranno ad aggiungersi a quelli prevedibili e successivi che la vostra "riforma" provocherà e vi sarete resi responsabili solo di un cumulo di macerie, perseguite con l'ostinazione cieca e la chiusura pregiudiziale che non accompagnano mai le idee forti, ma solo le meschine convenienze o le ragioni inconfessabili. Spero tanto di essere smentito al più presto. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U e della senatrice Manieri e del senatore Cortiana. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Carrara. Ne ha facoltà.

CARRARA (Misto-MTL). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, la scelta di procedere ad una profonda revisione del sistema scolastico italiano non è più eludibile. L'era della globalizzazione ha significato il cambiamento epocale dei canoni tradizionali che hanno caratterizzato lo sviluppo dei rapporti economici, sociali e culturali tra gli Stati. L'interazione di questi rapporti non può essere confinata nell'ambito economico e finanziario, ma inevitabilmente deve coinvolgere la capacità di un sistema Paese di reggere le sfide sociali, culturali, economiche e finanziarie che prepotentemente appaiono all'orizzonte.

Si può affermare che l'Italia, nel settore dell'istruzione e della formazione professionale della popolazione in età scolare, ha accumulato un ritardo tale da dover essere oggetto di un progetto veloce e determinato per recuperare svantaggi competitivi e culturali, tale da innovare la nostra conoscenza del sapere, che è l'essenza dell'essere un grande Paese. Considero, quindi, non solo condivisibili i contenuti e le modalità con cui si vuole procedere con questo provvedimento in esame, ma la stessa necessità di riorganizzare il nostro sistema scolastico.

Si propone così il raggiungimento della finalità della crescita e della valorizzazione dell'individuo come essenza fondamentale di progresso, con il fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nonché attraverso l'introduzione di formule organizzative altamente innovative, che hanno il pregio di avvicinare il nostro modello educativo a quello di altri Paesi occidentali più avanzati. Basti pensare che il sistema duale, istruzione e formazione, già operante in Paesi come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, consente di contemperare una duplice esigenza: quella di rafforzare la cultura generale e, al tempo stesso, quella di fornire una preparazione tecnica immediatamente spendibile sul mercato del lavoro, quindi il cosiddetto blocco tecnico.

Ciò significa che in Europa, diversamente da quanto accade in Italia, già da tempo la formazione professionale ha pari dignità rispetto all'istruzione, facendo parte dell'offerta formativa complessiva. Rispetto a questo scenario, è difficilmente confutabile l'opinione secondo cui il sistema educativo e formativo italiano non è in grado di garantire allo studente il raggiungimento dell'abilità necessaria per l'inserimento nel mondo del lavoro. Ne è riprova quanto riportato dalle recenti cronache, secondo le quali solo una piccola minoranza di laureati svolge un'attività lavorativa coerente con il percorso scolastico seguito.

Al fine di superare questo evidente limite formativo, appare particolarmente incisivo l'articolo 2, dove, nell'ambito della definizione del sistema educativo di istruzione e di formazione, si prevede in sintesi: la promozione dell'apprendimento in tutto l'arco della vita; il conseguimento di una formazione spirituale e morale anche ispirata ai princìpi della Costituzione; l'assicurazione del diritto-dovere all'istruzione ed alla formazione per almeno dodici anni; il completamento di un percorso educativo di istruzione e di formazione che si articoli in due cicli. Così pure l'articolo 4, dove si prevede di assicurare agli studenti che abbiano compiuto quindici anni la possibilità di realizzare i corsi del secondo ciclo scolastico in alternanza scuola-lavoro, come modalità di realizzazione del percorso formativo.

Tale alternanza, concepita in collaborazione con il mondo delle imprese, è mirata ad assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, anche competenze specifiche immediatamente spendibili nel mondo del lavoro.

Il provvedimento in esame si propone di realizzare, dunque, un modello educativo e formativo più moderno ed efficace, ancorché più coerente con le nuove esigenze della società e del mercato del lavoro. Lo stesso strumento adottato - la legge delega - appare adeguato al conseguimento di questo obiettivo, considerata anche l’importanza di accompagnare la proposta di riforma scolastica con la previsione di un piano pluriennale di risorse finanziarie chiaramente dettagliato.

È quindi evidente come queste brevi considerazioni rendano auspicabile un sollecito pronunciamento positivo di quest’Aula. (Applausi dai Gruppi LP e FI. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Manieri. Ne ha facoltà.

MANIERI (Misto-SDI). Signor Presidente, a conclusione dell’iter di questo provvedimento, voglio confermare il giudizio negativo dei socialisti, condividendo tutti i rilievi di costituzionalità e di copertura finanziaria sollevati nella relazione della collega Soliani e negli interventi di molti colleghi che mi hanno preceduta.

Le modifiche apportate dalla Camera dei deputati rafforzano le nostre preoccupazioni: questa riforma fallisce gli obiettivi essenziali; anzitutto, quello di innalzare la qualità dell’istruzione. Un’esigenza, signora Ministro, più volte da lei ribadita, ma le scelte compiute in questo provvedimento e compiute dal Governo vanno nella direzione opposta.

Certamente non innalza il livello culturale di base la scelta di mantenere l’obbligo scolastico tra i più bassi in Europa. L’istruzione di base è ciò che prepara alla vita, è quell’insieme di competenze, di valori, di capacità che costituisce quell’equipaggiamento la cui dotazione è compito istituzionale della scuola pubblica, compito storico che la nostra Costituzione assegna alla scuola statale del nostro Paese.

"Ancora agli inizi del ‘900", osserva Carlo Cipolla in un saggio degli anni ’60 ripubblicato da poco, "essere alfabeti significava essere capaci di leggere e di scrivere. Oggi, in una società industrialmente progredita, una persona con meno di dieci, quindici anni di scuola è da considerarsi funzionalmente analfabeta".

Noi siamo d’accordo. Né la qualità dell’istruzione è possibile senza investimenti certi, con soli aggiustamenti di ingegneria ordinamentale. Un servizio nazionale di valutazione, le nuove tecnologie, la formazione iniziale continua, l’autoaggiornamento e la valorizzazione del lavoro docente, gli interventi contro la dispersione scolastica, quelli per l’edilizia scolastica e il diritto allo studio, la stessa possibilità per tutti, non per pochi, e per tutte le aree del Paese e non solo per alcune, di anticipo, richiedono soldi, investimenti graduali ma certi.

Questa riforma si rivela inadeguata e destinata a fallire, a nostro avviso, anche rispetto all’altro obiettivo: la creazione di un moderno canale di formazione professionale, che è la vera sfida di modernizzazione del Paese. Abbiamo sempre denunziato le carenze che l’Italia registra in questo campo. In mancanza di un serio, moderno ed efficace canale di formazione professionale, avente dignità di sapere e in grado di rispondere ai bisogni formativi di un mondo del lavoro in continua evoluzione, la scelta "tredici o quattordici anni" è un vero e proprio salto nel buio.

Di questo le famiglie si renderanno conto e non è difficile prevedere fin d’ora, se non ci saranno robusti correttivi, che esse si orienteranno, specialmente in alcune aree del Paese, verso gli indirizzi tecnici e liceali statali invece che verso la formazione professionale regionale, destinata in tal modo a divenire sempre più residuale e ad accogliere i figli delle famiglie culturalmente e socialmente meno provvedute.

Se si vuole conferire dignità di sistema nazionale e di percorso formativo alla formazione professionale, la strada da imboccare - lo ripetiamo - è quella di una profonda innovazione e riorganizzazione attraverso una forte intesa Stato-Regioni che definisca a livello nazionale gli assi portanti di un canale tecnico-professionale, i livelli essenziali ai fini di pari opportunità e di equivalenza per il riconoscimento sull’intero territorio nazionale delle qualifiche e dei diplomi, lo status del personale e, ancora una volta, fonti di finanziamento certe e continuative che facciano uscire la formazione professionale dal modello corsuale tipico della formazione regionale tuttora esistente.

Su questo terreno, signora Ministro, un terreno pragmatico, di concretezza di Governo e di apertura, saremmo stati pronti a ragionare, a sostenere il processo di innovazione consapevoli che la qualità della scuola è obiettivo fondamentale e prioritario e che esso non è scindibile da politiche di equità e di integrazione sociale perché sul fronte dell’istruzione si giocano, oggi più di ieri, partite delicate che riguardano i diritti e le libertà, l’uguaglianza dei cittadini, l’unità del Paese.

Non ci è stata data, signora Ministro, questa occasione, perché la riforma è nata male ed è stata gestita ancora peggio. È stata gestita con la propaganda fuori dalle Aule parlamentari e il muro contro muro nelle Aule parlamentari.

Ci si obietta che anche il centro-sinistra, nella passata legislatura, ha approvato la legge n. 30 del 2000 a colpi di maggioranza: è esatto, ma non è un argomento. Non si risponde ad un errore con un altro errore, ad un fallimento ponendo le premesse per un altro fallimento.

La lunga storia delle iniziative mancate avrebbe dovuto renderci tutti più accorti. Le riforme scolastiche non sono mai facili e non lo sono soprattutto in Italia, dove, come sappiamo, lo scontro è stato sempre forte in materia di educazione; né le riforme basta disegnarle e neppure tradurle in norme: esse hanno bisogno del coinvolgimento più ampio possibile degli attori principali, in questo caso dei docenti, degli studenti, delle famiglie e delle istituzioni locali. Il rischio del modo sbagliato in cui questa riforma è stata gestita dal Governo è che lo scontro tra le opposte propagande si trasferisca dalle piazze e dalle Aule parlamentari a quelle scolastiche.

È certamente un’illusione dell’opposizione politica pensare di poter trasformare la scuola solo dai banchi dell’opposizione, e io aggiungerei - non ho difficoltà a farlo - anche dalle piazze, ma nello stesso tempo è un’illusione della maggioranza, signora Ministro, credere di realizzare una scuola moderna e democratica contro una grande parte del Paese, contro l’Ulivo.

Una riforma seria della scuola esige una consapevolezza generalizzata dei problemi e una corresponsabilità politica di tutti.

L’auspicio che noi formuliamo, signora Ministro, è che con questo voto si chiuda finalmente una fase negativa. Il fatto stesso che è stato approvato alla Camera un numero esorbitante di ordini del giorno - come richiamava in maniera molto puntuale il collega D’Andrea - rivela il disagio non solo dell’opposizione, ma anche di settori della maggioranza e dimostra che l’architettura di questo provvedimento è una sorta di camicia di Nesso per nascondere interrogativi inevasi, perplessità, preoccupazioni che gettano incertezze sul futuro del provvedimento, della riforma e della scuola italiana nel suo complesso.

L’auspicio che noi formuliamo è che con questo voto si chiuda finalmente una lunga fase elettoralistica e post-elettoralistica, che il Governo, signora Ministro, si renda finalmente conto che ha vinto e che dal cielo della propaganda scenda finalmente sul terreno della concretezza e della responsabilità di Governo, liberando il dibattito e il confronto a partire dal tema delicato delle risorse.

Il Governo non può non rispondere in modo serio su tale questione e alle osservazioni serie e fondate espresse in quest’Aula dalla collega Soliani e da altri senatori e in Commissione da autorevoli esponenti lontani mille miglia da una cultura politica strumentale.

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che questa è una riforma senza copertura, o almeno senza copertura finanziaria certa, basata solo sul presupposto che il Governo riesca a reperire le risorse necessarie per l’emanazione dei decreti legislativi che, se comportanti nuovi oneri non disponibili, non possono essere emanati.

Voglio fare una scommessa con lei, signora Ministro, e sarei felice di perderla. Conoscendo l’attenzione riservata finora al settore dell’istruzione dal suo collega del Tesoro, le ipotizzate risorse necessarie rischiano di essere solo un miraggio e non solo per difficoltà oggettive di bilancio, per il Patto di stabilità e quant’altro, ma perché non c’è, nella consapevolezza di Tremonti e del Governo, la priorità che deve avere la scuola negli investimenti pubblici.

Infine, credo che una parola chiara vada detta su come si intende proseguire nell’attuazione di questa riforma, soprattutto in riferimento ad una questione delicata che riguarda i contenuti della formazione e il ruolo dello Stato. Siamo costretti a leggere proposte di rappresentanti del centro-destra, anche di qualche collega deputato, che ci sembrano inaudite, o uscite del tutto stravaganti come la proposta, ad esempio, di sostituire nei libri di testo la teoria darwinista con quella creazionista: una vera e propria sciocchezza, d’accordo, ma sintomo di un vento che non voglio sottovalutare; oppure, l’altra trovata di un deputato di Bologna che istiga i genitori a denunciare i professori che in questi giorni parlano nelle aule scolastiche della guerra e del valore della pace. Molti di questi, signor Presidente, sono maestri elementari e di scuola materna che di rosso hanno solo la penna di deamicisiana memoria e che trasmettono ai bambini valori civili e religiosi universali.

Ho richiamato due esempi, per paradosso, solo per metterla in guardia, signora Ministro, sulla necessità non solo di rendere trasparente il dibattito sui contenuti ma, soprattutto, di porre un punto chiaro e fermo a baluardo della libertà di insegnamento.

Voglio citare Tristano Codignola, nella cui impostazione pedagogica e politica i socialisti si riconoscono. Afferma Codignola: "Il problema dei contenuti è un problema di libertà educativa che non possiamo toccare.

Non dobbiamo risolverlo come legislatori; come legislatori possiamo solo risolvere il problema della formazione egualitaria dei cittadini, dando per il resto fiducia al corpo docente e lasciando ad esso di trovare i modi di volta in volta idonei. Non trasformiamo i legislatori in educatori, perché con questo faremmo nient’altro che resuscitare quello Stato etico di cui tutti siamo ben memori, mentre dobbiamo muoverci verso una sostanziale fiducia negli insegnanti, anche se essa dovesse essere mal riposta". Ciò è vero, perché la libertà di insegnamento è un principio irrinunciabile, costituzionalmente garantito, come lo è la libertà dell’arte, della ricerca e dell’informazione: un punto di valore che non sempre è tenuto fermo nelle prese di posizione di questa maggioranza di Governo.

Per quanto ci riguarda, saremo vigili e intanto penso, signora Ministro (e concludo il mio intervento), che non le sfuggirà la necessità di aprire una fase nuova e diversa, che riduca i danni finora arrecati e ponga le premesse di un patto per la scuola che vada ben al di là della legislatura e di questa maggioranza politica. (Applausi dai Gruppi Misto-SDI, DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Misto-Udeur-PE. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Franco Vittoria. Ne ha facoltà.

FRANCO Vittoria (DS-U). Signor Presidente, signora Ministro, colleghi e colleghe, nessuno avrebbe scommesso sul ritorno al Senato di questo disegno di legge delega. Era esplicita la blindatura alla Camera dei deputati, voluta dal Governo ed accettata dalla maggioranza; invece, il ritorno c’è stato.

Esso ha un significato politico straordinario: non è solo una semplice questione tecnica, come è già stato evidenziato, né è una semplice questione lessicale e vorrei dire al relatore, senatore Asciutti, che non lo è neanche la modifica dell’articolo 5.

Le modifiche apportate dalla Camera dei deputati parlano chiaramente di una riforma incompiuta e destinata a restare tale. I tre commi aggiunti all’articolo 7 sottolineano che manca la parte più importante della riforma, quella che dovrebbe consentirne l’attuazione: le risorse finanziarie.

Sul piano politico, il deficit di risorse rivela a chiare lettere anche a chi lo avesse precedentemente sottovalutato che la scuola rinnovata, riformata per elevarne la qualità, non è per questo Governo una priorità strategica. Rivela che non si vogliono dare gambe a ciò che viene spesso declamato: cioè che il sapere, l’istruzione e la formazione costituiscono la molla dello sviluppo civile, sociale ed economico di un Paese moderno. Le risorse rappresentano la cartina di tornasole della volontà effettiva di investire sulla scuola.

Prendiamo atto che così non è per questo Governo. Si vara una legge senza la necessaria copertura finanziaria, in violazione dell’articolo 81 della Costituzione, perché così è. Si consegna la riforma completamente nelle mani del Ministro dell’economia e delle finanze e avremo un Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca di fatto esautorato. Avendo visto all’opera il Ministro dell’economia e delle finanze nelle ultime due finanziarie, possiamo immaginare facilmente cosa farà in futuro. Finora abbiamo assistito a tagli e disinvestimenti nella scuola: dagli organici degli insegnanti ai fondi per l’autonomia scolastica, dall’aggiornamento degli insegnanti all’offerta formativa; sempre meno risorse. La scuola viene considerata settore di risparmio e non settore di nuovi investimenti.

Con le clausole introdotte dalla Camera dei deputati, riteniamo che la legge potrà essere applicata solo per gli aspetti più negativi, come ad esempio l’abbassamento dell’obbligo scolastico, con la cancellazione della legge n. 9 del 1999.

Non finiremo mai, signora Ministro, di deplorare questo passaggio del disegno di legge delega, che ci fa arretrare rispetto ad una conquista importante per un Paese che scelga davvero di investire nell’istruzione e di rispondere alla domanda di più sapere che proviene dall’Europa e non soltanto, perché proviene soprattutto da una società più complessa e che richiede sempre nuovi saperi; richiede un'abilità di apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

Si trattava allora di procedere su questa strada, non di regredire; invece, proprio questo si sta facendo: un ritorno indietro.

La cancellazione della legge n. 9 del 1999 ha numerosi effetti negativi, alcuni dei quali sono stati già richiamati da taluni colleghi che mi hanno preceduta. Ne voglio tuttavia ricordare soltanto due. In primo luogo, la scomparsa delle misure operanti nell'ultimo anno dell'obbligo scolastico preposte a contrastare la dispersione scolastica. Riteniamo che in questo caso si verifichi un fatto grave: un impoverimento, un aggravamento dei problemi sociali e una regressione sul piano dell'inclusione e dell'equità.

Il secondo aspetto negativo è l'abolizione delle misure di sostegno alla gratuità dei libri di testo, con la conseguente cancellazione di quasi cento milioni di euro. Questi saranno alcuni degli effetti negativi di quelle parti del provvedimento che potranno diventare immediatamente operative perché realizzano un risparmio, non certo una migliore qualità della nostra scuola.

Invece, sugli aspetti che noi giudichiamo ugualmente negativi ma che il Governo ha presentato come grande innovazione, cioè l'anticipo dell'accesso alla scuola dell'infanzia e alla scuola elementare, si farà invece soltanto - noi temiamo - una grande confusione.

Si sono create nei mesi scorsi molte aspettative nelle famiglie, ma tali aspettative - ci spiace dirlo - non potranno che andare deluse. La copertura prevista per gli anni 2003-2005 per l'anticipo dell'età scolastica è non solo insufficiente, signora Ministro, ma anche insignificante. Potranno avvantaggiarsene circa 16.000 bambini; resteranno fuori, con una stima per difetto, supponiamo, circa 64.000 bambini ed il numero varierà, come dicono gli esperti, a seconda dell'entità delle classi. Anche in questo caso, tuttavia, il Governo non ha ancora fornito dati reali circa la platea degli aventi diritto, come peraltro abbiamo denunciato sin dall'inizio della discussione del provvedimento in prima lettura, anche sulla base della relazione del Servizio del bilancio.

Dal momento che la platea degli aventi diritto è così vasta ed i beneficiari effettivi potranno essere molti di meno, ci chiediamo in base a quali criteri saranno accolti o rifiutati bambini le cui famiglie faranno domanda per l'anticipo dell'accesso scolastico. Non oso immaginare la confusione e l'incertezza che regneranno nelle scuole, nelle famiglie e negli enti locali che si troveranno a far fronte ad innumerevoli problemi di spesa e di organizzazione di nuove classi con scarse risorse a disposizione.

Non si possono affidare la garanzia e il rispetto di un diritto primario come quello all'istruzione a due grandi "possono" che compaiono nel testo: il "possono" delle famiglie, relativo alla scelta di anticipare l'obbligo scolastico per il proprio figlio, e il "possono" riferito agli enti locali, per dare attuazione a questa innovazione, compatibilmente, come si dice, con il rispetto del Patto di stabilità. Siamo davvero alla legalizzazione della discriminazione sociale e della ineguaglianza basata sulla residenza. Abitanti di piccoli Comuni diversi, magari contigui, sono destinati a diversi trattamenti circa la effettività di un diritto fondamentale, quando tra le finalità dell'istruzione, come si dice anche nella prima parte del testo di legge e come dichiara la Costituzione, vi è proprio la costruzione di uguale cittadinanza. Questa è la prima finalità della scuola e dell'istruzione.

C'è dunque un enorme controsenso: l'anticipo dell'accesso scolastico tanto sbandierato sarà un'opportunità per pochissimi, non una possibilità reale ed effettiva per tutti. Come ha detto questa mattina la relatrice di minoranza, senatrice Soliani, si fa della scuola un servizio a domanda individuale proprio mentre il Governo sarebbe chiamato a realizzare la generalizzazione della scuola dell'infanzia, questo sì, oggi, un servizio a domanda individuale che dovrà invece cambiare in servizio per tutti.

Il disegno di legge, nel testo che ci è stato consegnato dalla Camera, avrà dunque un effetto destabilizzante: contribuirà ad accrescere l'incertezza che già regna nel mondo della scuola tra i dirigenti scolastici, gli insegnanti e le famiglie. È una riforma bandiera, una riforma manifesto, un grande ordine del giorno sul tavolo del Ministro del Tesoro, insieme ad una cinquantina circa di altri piccoli ordini del giorno, come per dire: a ciascuno la sua scuola, a seconda delle ispirazioni, forse, della pressione di categorie che riceve.

C'è perfino un ordine del giorno della Lega che impegna il Governo a promuovere il reclutamento di insegnanti maschi; mi chiedo come: forse con le quote celesti questa volta? Una grande fantasia - bisogna riconoscerlo - della maggioranza, per mascherare, forse, o esorcizzare l'impossibilità di realizzare seriamente la riforma nella sua interezza.

Signora Ministro, le ricordo anch'io, come hanno fatto altri colleghi, che ventiquattro mesi – il tempo entro il quale dovranno essere emanati i decreti - non sono molti e il suo piano finanziario dovrà coprire molte materie che costano: dalla riconversione e formazione in servizio dei docenti alla valorizzazione dell'autonomia scolastica, dall'istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema all'alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche, alla promozione dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e molto altro. Ci spieghi come e dove il Governo reperirà le risorse. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Misto-Udeur-PE e Misto-SDI. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Filippelli. Ne ha facoltà.

FILIPPELLI (Misto-Udeur-PE). Signor Presidente, signora Ministro, in prima lettura abbiamo già avuto modo di esprimere la più ampia disapprovazione sul metodo adottato dal Governo: la presentazione di una legge delega su un argomento centrale per il Paese come l'istruzione. Una delega che, ancorché costituzionalmente legittimata, trattandosi di norme generali, disattende l'impegno per un vero confronto che avremmo voluto determinasse la realizzazione di un doveroso e utile coinvolgimento dell'opposizione, considerato che la scuola interessa veramente tutto il Paese ed è questione troppo importante per essere demandata alle scelte di una sola parte politica.

Viene fuori così una riforma limitata, che solleva molte perplessità e molti rilievi, di cui agli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Eppure, il Governo è convinto di aver messo in cantiere una riforma strategica, che viene pubblicizzata come un investimento dello Stato sui giovani e sul recupero di produttività del Paese in campo formativo.

Molto probabilmente il Governo non si rende conto che a quello che viene considerato un investimento non è stato destinato neanche un euro. Il progetto si trova ora con una copertura finanziaria inadeguata, perché non si può valutare il costo di un progetto se non si sa con esattezza come verrà realizzato. Rileviamo inoltre che gli esigui finanziamenti sono peraltro ricavati da operazioni di taglio degli organici e finalizzati esclusivamente a sostenere i maggiori oneri richiesti dall'anticipo.

L'annunciato ed enfatizzato piano programmatico di interventi finanziari per il necessario e indispensabile sostegno alla riforma, finalizzata tra l'altro alla valorizzazione del personale docente, non ha trovato alcun riscontro, signora Ministro, nella finanziaria per il 2003, ove le uniche iniziative relative alla scuola riguardano tagli di bilancio e di personale.

Per quanto riguarda il merito del testo in discussione, vorremmo sottolineare gli elementi di preoccupazione introdotti con i documenti pedagogici e organizzativi, che fanno da sfondo alla sperimentazione nella scuola dell'infanzia e nella prima classe della scuola elementare, e denunciare il possibile utilizzo strumentale della stessa sperimentazione quale manifestazione di volontà di legittimazione e di validazione dell'intero impianto riformatore.

Analogamente, va rilevato con preoccupazione che, senza un coordinamento nazionale, si stanno concretizzando sperimentazioni regionali che prevedono nuove modalità di assolvimento dell'obbligo scolastico all'interno di percorsi di formazione professionali, in assenza di esplicite garanzie circa il coinvolgimento del sistema scolastico in ordine al contenuto dei piani di studio, al sistema delle relative certificazioni e delle modalità di passaggio reciproco da un sistema all'altro.

L’articolato che ci accingiamo ad approvare introduce qualche precisazione nei princìpi e nei criteri direttivi ai quali dovranno attenersi i decreti attuativi per la concreta definizione del sistema educativo e di istruzione-formazione, senza di fatto cambiare l’impostazione di ingresso.

Conseguentemente, considerato che il testo in uscita dal Senato, nonostante la fortissima opposizione politica, sociale, sindacale e professionale, ha mantenuto la pratica (per ora facoltativa) dell’anticipo dell’iscrizione e frequenza e della precoce canalizzazione al percorso di istruzione-formazione secondaria, si confermano tutte le osservazioni e le critiche sul metodo e nel merito già espresse a suo tempo, a partire dal mancato effettivo coinvolgimento della scuola reale, dell’utenza e del personale scolastico. Inoltre, pur assumendo l’esigenza di una pluralità e di una diversificazione dei percorsi e delle opportunità formative nel secondo ciclo, rileviamo che il sistema duale dei licei e dell’istruzione-formazione professionale pone ancora seri interrogativi, non solo riguardo alla struttura, ma soprattutto relativamente all’effettiva pari dignità dei due differenti percorsi.

La trama dei riferimenti enunciati (livelli essenziali, validità dei titoli, qualifiche, crediti) a fronte del dibattito in atto intorno alla devolution appare ancora troppo esile. In ogni caso, permane la necessità di dare un nuovo assetto ordinamentale e organizzativo a tutti i percorsi formativi, in modo che siano realmente garantite a tutti e su tutto il territorio nazionale le opportunità di accesso alle esperienze di alternanza scuola-lavoro; segnalo, tra l’altro, che nel disegno di legge non si registra alcun input per un coerente ridisegno dell’assetto della formazione e dell’istruzione tecnica superiore. È riconfermata, infatti, l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro (articolo 4) all’intero periodo di formazione dai quindici ai diciotto anni, con l’indicazione che la programmazione e la gestione di tali opportunità sono in capo alla responsabilità delle istituzioni scolastiche e formative che realizzano convenzioni per il periodo di tirocinio, escludendo l’accensione di un rapporto di lavoro. La nuova stesura rende più evidente la necessità di integrazione tra i due sistemi del nuovo secondo ciclo, coinvolgendo, in primo luogo, le competenze e le esperienze professionali dei docenti. Resta però irrisolta la definizione di una base di equivalenza culturale e formativa riconoscibile e ben strutturata nei primi due anni di ciascun percorso del secondo ciclo, con il rischio che l’alternanza scuola-lavoro possa comunque accentuare differenze e separatezze.

Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, è condivisibile il principio che rilancia la formazione iniziale universitaria di pari dignità e durata per tutti gli ordini di scuole. Analogamente, si conviene su procedure e percorsi, anche se il riferimento a preminenti finalità di approfondimento disciplinare sposta eccessivamente il baricentro del percorso formativo sulla struttura e sui contenuti dei saperi, a tutto detrimento dei profili didattico-metodologici.

Qualche preoccupazione permane sul modello che prevede l’attività di tirocinio successiva al percorso formativo e non come parte integrante (e integrata) dello stesso. Il testo approvato riconosce la laurea in scienze della formazione primaria come titolo valido per l’inserimento nelle graduatorie permanenti e delinea una soluzione per gli insegnanti specializzati per il sostegno, ma non in possesso di abilitazione o di idoneità. I docenti specializzati possono accedere o ai corsi SIS o a quelli di laurea per la formazione primaria, in relazione al titolo di studio posseduto, a seguito del superamento di prove d’accesso. Gli aspiranti possono accedere anche in soprannumero rispetto al numero programmato di posti. Il testo, inoltre, prevede un’abbreviazione del percorso di studi, in relazione ai crediti riconosciuti a seguito della valutazione del percorso didattico teorico-pratico effettuato; per i docenti di scuola secondaria è prevista comunque l’iscrizione al secondo anno delle SIS.

Il testo, comunque, prefigura un modello con interventi non equilibrati tra le diverse categorie di personale coinvolto e a fronte di problemi irrisolti ne apre di nuovi, quali la mancanza di criteri oggettivi e omogenei per la valutazione dei crediti e una connessa disparità tra i corsi per la scuola primaria e quelli per la secondaria; la definizione delle condizioni di accesso ai corsi di laurea in scienze della formazione primaria per i docenti diplomati presso l'istituto magistrale, con particolare riferimento ai docenti specializzati per l'handicap; la non diffusività e i costi dei corsi attivati sul territorio nazionale; la mancata attivazione dei corsi per numerose classi di concorso e l'inesistenza dei corsi rivolti agli ATP; l'intreccio tra vecchio e nuovo sistema di reclutamento; le modalità di gestione del tirocinio nell'accezione di contratti di formazione lavoro

Nell'analizzare gli ordini del giorno approvati dalla Camera, ci colpisce in particolare quello presentato da alcune deputate della maggioranza, che impegna il Governo; a definire le caratteristiche generali attraverso cui si esplica la funzione docente; a diversificare ed articolare la funzione docente; ad individuare specifiche modalità di verifica e valutazione delle prestazioni collegate alla valorizzazione professionale. Con l'accoglimento di questo ordine del giorno, il Governo sarebbe legittimato ad intervenire con provvedimento unilaterale delegato, ma di pari rango legislativo, sullo stato dei docenti, disciplinando così anche specifici aspetti del rapporto di lavoro, come l'articolazione delle funzioni professionali e la verifica e la valutazione delle prestazioni connesse allo sviluppo di carriera, che appartengono invece alla contrattazione sindacale. L'iniziativa non solo è in contrasto con evidenti intenti ristrutturanti e con l'attuale sistema delle relazioni sindacali, ma risulta alternativa ad un indirizzo politico-istituzionale maturato all'interno della 7a Commissione del Senato, che ha proposto l'avvio di un’indagine conoscitiva sullo stato giuridico del personale docente della scuola. Noi sollecitiamo, signora Ministro, questa indagine nella certezza che i relativi esiti, garantiti dall'autorevolezza di una delle più alte istituzioni della Repubblica, renderanno giustizia ad una categoria professionale che svolge con dedizione e competenza il proprio ruolo, pur in mancanza di adeguati riconoscimenti giuridici ed economici.

La previsione di un eventuale sviluppo differenziato della carriera, basata anche su una possibile articolazione dei compiti legati alla piena attuazione dell'autonomia organizzativa e didattica delle istituzioni scolastiche, esige anzitutto la disponibilità di risorse economiche, che questo Governo non è in grado di garantire, e la messa a punto di un efficace, riconosciuto e condiviso sistema nazionale di valutazione, che il MIUR non riesce a far decollare.

Il personale della scuola, a partire da quello docente, avrebbe maggiormente apprezzato un ordine del giorno con il quale maggioranza e opposizione avessero impegnato il Governo a predisporre le condizioni per l'immediata conclusione della trattativa sul contratto di lavoro, scaduto ormai da oltre quattordici mesi, quale primo segnale dell'effettiva volontà di valorizzazione della professionalità.

La delega che oggi concediamo al Governo di fatto è una delega in bianco, i cui oneri non sono quantificabili e le cui prospettive non sono chiaramente definite. La scuola è priorità strategica per lo sviluppo del Paese ed implica, di conseguenza, fondi di perequazione per tutto il territorio nazionale, avendo particolare riguardo agli squilibri regionali. Manca, nelle riforme, un approccio adeguato ai problemi del Mezzogiorno d'Italia, gravemente in crisi nel processo di realizzazione dell'integrazione scuola-lavoro. Si è andati avanti a colpi di maggioranza, non ammettendo alcun emendamento e alcuna correzione. Riteniamo, quindi, sconcertante quanto, purtroppo, è avvenuto nei giorni scorsi presso la VII Commissione permanente della Camera. Il suo presidente, onorevole Adornato, a conclusione dell'esame in sede referente dei sette articoli del disegno di legge di riforma, ha testualmente dichiarato: "Non è stato il Governo a blindare il testo del disegno di legge, bensì la maggioranza, che per valutazioni di ordine politico ha inteso assumere tale decisione, che ha rispettato con assoluta coerenza".

Se ne deduce pertanto che l'esame dei numerosissimi emendamenti proposti al testo licenziato dal Senato nel novembre scorso è stato pesantemente condizionato da una esplicita pregiudiziale politica, che ne ha precluso ogni giudizio di merito.

Non crediamo che questa sia la strada giusta per dare alla nostra scuola e ai nostri giovani le risposte che da tempo attendono. Questa riforma, anche dopo le modifiche introdotte dalla Camera, continua a non essere condivisa da un ampio schieramento politico che vede unite tutte le forze del centro e della sinistra, ma soprattutto gran parte del Paese, a partire dagli studenti e dai docenti. Stiamo parlando di questioni importanti e gravi per i cittadini di domani, cioè per i bambini e i ragazzi, e che, tra l'altro, riguardano migliaia e migliaia di insegnanti appassionati e attenti, nonché molti dirigenti scolastici.

Questa legge non contiene solo deleghe, ma anche alcune norme direttamente operative, anch'esse prive di copertura, e dispone l’immediata e totale abrogazione di una legge recentissima, quella sulla riforma dei cicli e dell'obbligo scolastico, creando in tal modo un vuoto normativo che, in due anni, dovrà essere colmato dai decreti legislativi. Quelle riforme erano state realizzate attraverso un'ampia consultazione e con molta attenzione alle reali attese del popolo della scuola. Oggi torniamo indietro e facciamo un salto nel vuoto, o nel buio. (Applausi dai Gruppi Misto-Udeur-PE, Mar-DL-U, DS-U e Misto-SDI).

PRESIDENTE . Senatore Compagna, non siamo più nelle condizioni di proseguire la discussione generale, perché il tempo è scaduto; dobbiamo dunque chiudere la seduta antimeridiana.

Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Allegati A-B

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