OTTOCENTO
Introduzione
Tutte le vicende della storia italiana di primo ottocento muovono i
passi attorno all'evento storico di prim'ordine: l' ascesa di
Napoleone. Al giovane generale Napoleone Bonaparte fu affidato il
fronte italiano ed egli, passando le Alpi con un piccolo e esercito,
conquistò rapidamente il Piemonte, la Lombardia, il Veneto,
disponendosi a marciare su Vienna. Nel 1976 il re di Sardegna fu
costretto a firmare l'armistizio di Cherasco e a cedere successivamente
alla Francia Nizza e la Savoia.
Attraverso la via delle Alpi si affacciava sulla scena europea
colui che avrebbe cancellato tutti gli equilibri politici del vecchio
Continente, dominandolo per ben diciotto anni e creando i presupposti
per una completa ristrutturazione del suo assetto.
Il successo militare di Napoleone fu rapido. Nel 1797 concluse la
campagna militare d'Italia , creando una serie di Repubbliche,
strutturate a somiglianza di quelle francesi, definite le
Repubbliche "sorelle"; in questo stesso anno chiuse momentaneamente la
guerra all'Austria con la pace di Campoformio con la quale cedette
all'impero austriaco la gloriosa Repubblica di Venezia. Questa
decisione gettò nello sconforto quanti avevano sperato
nell'arrivo di Napoleone " liberatore", a quegli intellettuali che
avevano visto in Napoleone il fautore dell'estensione agli Stati
Italiani di quelle "libertà francesi" di cui si faceva
portatore.
Vincenzo Monti, Giuseppe Parini, Pietro Verri, Ugo Foscolo erano gli
intellettuali che si attivavano per installare nel popolo i valori
della vera libertà recitando poesie, discorsi, inni politici che
esaltavano Napoleone, la Francia e il nuovo regime di libertà.
Gli intellettuali italiani erano animati dall' idea, che andava
emergendo diffusamente, dell'indipendenza italiana, come
fase necessaria alla realizzazione di una nuova società e
di una nuova Repubblica.
Ben presto Napoleone mostrò la sua ostilità contro gli
intellettuali più radicali ed emanò una serie di norme
che ricreavano il clima repressivo degli anni precedenti e che
coinvolgevano un pò tutti i ceti intellettuali che aspiravano ad
esprimere, nelle libere associazioni o attraverso la stampa, le loro
opinioni politiche.
Questa situazione implica anche la necessità di una scelta. Da
una parte si apriva la prospettiva di una concreta partecipazione alle
attività che i nuovi apparati statali richiedevano oppure
un'opera di dissenso e di resistenza. Molti uomini di cultura, delusi
da un clima politico che andava sempre più allontanandosi dai
loro ideali, scelsero la strada dell'evasione e del disimpegno. A
questo proposito possiamo citare i casi di Parini e di Alfieri e di
Foscolo
Quest 'ultimo tenta inutilmente di far retrocedere Napoleone
dalle sue imposizioni dittatoriali, citiamo un esempio assai noto di "
invocazione" a Napoleone, la lettera di dedica che Foscolo premise nel 1799,
alla ristampa dell' Ode A Bonaparte liberatore. In questa dedica il poeta
esprimeva la sua delusione per gli sviluppi della politica napoleonica in Italia
e invitava Bonaparte a riscattare il trattato di Campoformio, restituendo la
libertà agli italiani e la pace all'Europa intera. A ragione si parla dunque di
delusione degli intellettuali italiani. Eppure, parlando dell'età napoleonica,
bisogna riconoscere che essa, divulgando i principi della Rivoluzione francese,
metteva in movimento forze fino a quel momento inerti, rieducava gli italiani
alle armi, risvegliava il sentimento nazionale, favoriva la formazione di un
personale intellettuale nuovo e aperto. Il nuovo intellettuale, e si pensi ad
esempio a Foscolo, vede aprirsi la carriera delle armi nelle legioni
napoleoniche, si inserisce nelle scuole e nelle università, siede nelle
pubbliche amministrazioni, diventa giornalista. L'età napoleonica a prendo
sbocchi professionali fino ad allora impensati, spinge il lavoro intellettuale
verso un rapporto sempre più stretto con le istituzioni e con il pubblico.
Ulteriore ispirazione dell'età napoleonica è la nascita del concetto di nazione.
Il sorgere del concetto di nazione
Gli intellettuali dunque reagirono al tentativo di assorbimento culturale alla Francia operato da Napoleone, ciò determina la nascita in Italia una cultura di opposizione. Questa resistenza culturale prende forme svariate e dà vita a iniziative diverse tra cui la difesa del patrimonio linguistico nazionale ad opera dell' Accademia della Crusca. Il risultato di questa iniziativa è l'edizione curata dal padre Cesari. Certamente un posto di rilievo in questa direzione spetta agli esuli napoletani. Essi testimoniano in modo esemplare come il fallimento della rivoluzione napoletana fosse il fallimento degli ideologi illuministi. Ad essi si deve la critica dell'illuminismo settecentesco ritenuto troppo astratto e il ritorno alla nostra tradizione di pensiero: a Bruno, a Campanella, a Sarpi, a Machiavelli e soprattutto a Vico. Gli esuli napoletani diffusero la conoscenza di questi autori, delle loro idee intrise di realismo e di stretta aderenza alle situazioni concrete. Il richiamo alla tradizione si ricollega direttamente all' affermazione dell'Italia come nazione e quindi al problema della sua unità, indipendenza e libertà.
Citiamo alcuni nomi noti del gruppo degli esuli napoletani: Francesco Lomonaco, Francesco Saverio Salfi,ed il più famoso Vincenzo Cuoco.
Francesco Lomonaco (1772-1810) è l'autore del Rapporto al cittadino Carnot sulle segrete cagioni della catastrofe napoletana. In questo resoconto risuona la proposta di unificare il Paese. Autore inoltre delle Vite degli eccellenti italiani, dei Discorsi letterari e filosofici.
Francesco Saverio Salvi ( 1759-1832) è autore del poemetto il Basswille, scritto contro la Basswiliana di Monti, e poi, esule in Francia collaborò all' edizione della Histoire littéraire d' Italie.
Vincenzo Cuoco ( 1770-1823) è autore del Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1779 che vuol essere non «tanto storia dei fatti quanto delle idee» che avevano animato la rivoluzione per poterne comprendere i motivi del fallimento, stabilendo un parallelismo con la rivoluzione Francese. Mentre questa era nata da reali esigenze popolari ed era stata portata avanti con la partecipazione di tutte le componenti sociali, la rivoluzione napoletana si era basata su princìpi importati dall'esterno e che non appartenevano alla mentalità delle classi meridionali. In definitiva Cuoco individua le ragioni del tragico epilogo nella mancanza di un collegamento tra le idee di un gruppo ristretto di intellettuali e la maggioranza della popolazione rurale e contadina. Queste ragioni vengono sottolineate in alcuni paragrafi della sua opera, ad esempio Stato della nazione napoletana, in cui rivendica che le sorti della rivoluzione potevano essere diverse se i patrioti avessero cercato di individuare i bisogni comuni e cercare di risolvere i problemi più urgenti della popolazione. Ancora più incisivamente si esprime in Quante erano le idee per la nazione?, qui ribadisce che il termine astratto di libertà non ha alcuna presa sul popolo, viceversa, se il popolo conquista dei beni tangibili apprezzerà poi anche quella libertà in virtù della quale sono state possibili quelle conquiste. Dichiaratamente Cuoco si rivela nemico di ogni principio che dimentica gli uomini reali in nome di un'ideale umanità e indica la liberta senza tenere conto delle condizioni obiettive.
Alta valenza si attribuisce all'opera pedagogica di Cuoco che nel Rapporto al Re Gioacchino Murat e Progetto di dcreto per l'ordinamento della Pubblica Istruzione nel Regno di Napoli, prospetta un'istruzione generale, pubblica e uniforme, che miri a formare dei buoni cittadini. egli dice: «L'educazione letteraria è inutile quando non tende a formar buoni cittadini, e buoni cittadini non si hanno senza vita politica». L'uomo non necessita di nozioni ma di strumenti conoscitivi, eccolo perciò dire: «L'educazione ben diretta non ha tanto di mira d' insegnare una o due idee positive di più o di meno, quanto d'ispirare l'amore di una scienza e dare alla mente un'attitudine a comprenderla. Quasi diremmo che non si tratta di formare un libro ma un uomo; giacché ad un libro rassomiglia un uomo meramente passivo, il quale tante idee tiene quante gliene sono date; mentre al contrario il carattere della mente è quello di essere attiva, e creatrice».
Maria Giovanna Argentiero
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