Intervengono i sottosegretari di Stato per l'istruzione, l'università e la
ricerca Maria Grazia Siliquini e Valentina Aprea.
La seduta inizia alle ore 14,45.
IN SEDE REFERENTE
(1251) CORTIANA ed altri.- Legge-quadro in materia di riordino dei cicli
dell'istruzione. (1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione e di formazione professionale.
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)
Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta di ieri.
Nel dibattito interviene la senatrice ACCIARINI, la quale ricorda anzitutto come
il ministro Moratti, nelle sue dichiarazioni programmatiche, avesse sottolineato
l'assenza di ogni intento persecutorio nel blocco della legge n. 30, disposto
invece dal nuovo Governo nella prospettiva di coinvolgere tutti gli operatori
interessati. Tale obiettivo appare tuttavia miseramente fallito, come dimostra
anche l'esperienza degli Stati generali dell'istruzione. La stessa scelta di
operare attraverso il ricorso ad una amplissima delega legislativa, che abroga
peraltro una legge quadro democraticamente votata dal Parlamento, nega l'intento
di coinvolgimento e dimostra al tempo stesso l'arroganza e la debolezza del
nuovo Governo nei confronti delle tematiche della scuola. Lo stesso Consiglio
nazionale della pubblica istruzione ha del resto espresso un parere fortemente
critico sul provvedimento, con una schiacciante maggioranza di voti.
Con riferimento al piano programmatico di interventi finanziari, cui è rinviata
la realizzazione delle finalità della legge, ella osserva poi che esso rende
aleatorio se non addirittura improbabile il reperimento delle risorse
finanziarie necessarie, in quanto soggetto a potenziali rimodulazioni ad opera
delle leggi finanziarie annuali. Né appare valido il metodo di calcolo adottato
per i costi connessi all'anticipo dell'età scolare, in quanto essi dovrebbero
essere commisurati all'intero gruppo demografico potenzialmente interessato
dall'innovazione.
La senatrice Acciarini si sofferma poi sul silenzio, giudicato preoccupante,
relativo alle norme sull'obbligo scolastico. A fronte della disciplina
attualmente vigente, assai chiara, il disegno di legge del Governo prevede
infatti una gradualità di applicazione del diritto-dovere all'istruzione e
formazione, rimessa ai decreti legislativi. Si tratta di un grave abbaglio, che
perde di vista il carattere costituzionale dell'obbligo scolastico e che del
tutto inopinatamente lega la gradualità dell'applicazione al reperimento di
adeguate risorse. La stessa durata variabile del percorso formativo (dodici anni
nel caso dell'istruzione professionale quadriennale, che scendono tuttavia ad
undici nel caso del conseguimento di una qualifica professionale triennale ma
risalgono a tredici nel caso dell'istruzione liceale quinquennale) appare
fortemente discutibile. Il progetto del Governo restaura inoltre un'antica
dicotomia fra chi prosegue negli studi e chi è costretto ad interromperli per
dedicarsi ad attività di carattere esecutivo, compiendo un vistoso passo
indietro rispetto ad elementi di riforma ordinamentale, realizzati anche
attraverso atti di natura secondaria, che – grazie all'impegno delle forze
democratiche contro la discriminazione sociale ma anche al senso di
responsabilità del mondo industriale – ne avevano nel tempo
significativamente ridotto i margini.
L'opzione precoce fra due canali formativi fortemente distinti fra loro oscura
invece il ruolo integrativo della formazione professionale rispetto
all'istruzione. In tal senso, la scelta del Governo appare socialmente
discriminatoria tanto quanto l'intenzione di rivedere l'articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori, minando in modo assai simile le basi del tessuto sociale
nazionale.
La stessa articolazione dell'istruzione liceale in due bienni seguiti da un anno
conclusivo, rompendo la tradizionale articolazione di un biennio seguito da un
triennio, sembra confermare che l'anno finale sia sostanzialmente un anno
integrativo per chi proviene dalla formazione professionale e quindi
nient'affatto fondante per la preparazione agli studi universitari.
Ella sottolinea quindi conclusivamente i gravi effetti di disarticolazione del
sistema di istruzione inevitabilmente conseguenti al progetto del Governo, dando
voce ai timori provenienti dagli istituti professionali che, ricorda, la legge
Berlinguer prevedeva entrassero a far parte del sistema dei licei.
Il senatore BEVILACQUA nega che la riforma governativa sia stata varata senza
tener conto del contributo della società civile, ricordando che il relativo
dibattito è ormai in corso da oltre sei mesi, durante i quali il Ministro ha
incontrato numerosissimi esponenti dei diversi settori interessati.
Il disegno di legge n. 1306 arriva del resto in Parlamento nient'affatto
blindato, a differenza della legge Berlinguer alla quale il Senato non poté
apportare alcuna modifica rispetto al testo varato dalla Camera, subendo così
un esproprio delle proprie funzioni assai maggiore di quello oggi lamentato.
Se i decreti attuativi della legge Berlinguer non sono stati approntati in
tempo, prima della fine della legislatura, ed il centro-destra – che aveva
sempre osteggiato la riforma nel corso dell'esame parlamentare – ha fatto del
loro ritiro uno dei punti qualificanti del suo programma elettorale,
raccogliendo un ampio consenso popolare, ciò non appare certo contrario ai
principi democratici; non esime peraltro la maggioranza dall'esprimere alcuni
dubbi sul testo.
Anzitutto, egli chiede dunque chiarimenti in ordine alla necessità, prefigurata
nella relazione introduttiva, di vincolare contrattualmente i docenti alla
permanenza nella stessa sede per i bienni, quale parametro di continuità
didattica: teme infatti che tale scelta possa vincolare i docenti in eterno
presso la medesima sede.
Osserva poi che l'affermazione di un diritto-dovere di istruzione di dodici anni
non pone in discussione la vigenza della legge n. 9 del 1999 sull'obbligo
scolastico decennale. Chiede tuttavia precisazioni sulla sorte di quei ragazzi
che non conseguissero una qualifica nell'arco dei dodici anni.
Quanto all'articolazione del percorso formativo in un canale liceale ed in un
altro dedicato all'istruzione e formazione professionale, si dichiara d'accordo
in linea di principio. Si interroga tuttavia sulla effettiva flessibilità fra i
due canali, soprattutto negli ultimi anni. Invita pertanto il Governo a valutare
la possibilità di limitare i momenti di passaggio al primo biennio.
Ritiene poi che la durata quadriennale dell'istruzione professionale,
comprimibile peraltro a tre anni ai fini della qualifica, rischi di confermarne
il carattere dequalificato. Suggerisce pertanto un'articolazione quinquennale,
ovvero il suo trasferimento tout court nel sistema liceale.
Dopo aver convenuto sulle innovazioni relative alla valutazione del sistema
scolastico, egli si sofferma quindi sulla formazione universitaria degli
insegnanti, sottolineandone le difficoltà applicative. Paventa inoltre che tale
aggravio del percorso formativo, se disgiunto da un significativo riordino dello
stato giuridico della docenza, finisca per disincentivare le giovani generazioni
dall'intraprendere detta professione soprattutto con riferimento alla scuola
materna ed elementare, a fronte di alternative ben più brevi e remunerative. Si
augura comunque che non vengano ripetute esperienze negative quali i corsi di
formazione per gli insegnanti, troppo spesso gestiti in passato dalle
organizzazioni sindacali per finalità nient'affatto corrispondenti agli
obiettivi prefissi.
Nega infine che l'anno finale dell'istruzione liceale sia da intendersi come
anno integrativo, al quale sarebbe egli stesso contrario.
Il senatore TOGNI ritiene che il compito primario della scuola debba essere la
trasmissione dei valori, culturali, nazionali, familiari. Il disegno di legge
del Governo ha tuttavia palesato una certa confusione e la sostanziale
spaccatura dell'Italia fra due opposte concezioni di riforma scolastica. Esso
testimonia del resto, a suo giudizio, la difficoltà del centro-destra a
misurarsi con un interlocutore di opposizione assai agguerrito e fornito di
ottimi argomenti, conseguenti ad approfondite riflessioni svolte nel tempo con
successo.
La legge n. 30, voluta dall'ex ministro Berlinguer, aveva infatti senz'altro
molti lati positivi, che adesso appare difficile voler modificare ad ogni costo.
Ciò, indipendentemente da raffronti con altre esperienze europee, non sempre
pertinenti, stante la forte tradizione culturale italiana che a suo avviso deve
essere salvaguardata in quanto tale.
Egli mette quindi in luce alcuni profili critici del progetto Moratti: la
riduzione dell'insegnamento a 25 ore settimanali, con evidente impoverimento
dell'apprendimento dei ragazzi; l'abolizione di alcune discipline, che non
favorisce lo sviluppo globale di tutti i linguaggi; la distinzione fra
istruzione liceale e istruzione e formazione professionale, cui sarebbe
preferibile un quadriennio unico, seguito da un anno integrativo per l'accesso
all'università. Egli ritiene altresì che il disegno di legge n. 1306 non offra
effettive pari opportunità a tutti gli studenti e si disperda eccessivamente
nella disciplina di dettagli organizzativi perdendo di vista la sostanza dei
contenuti, nonché l'esigenza di assicurare pluralità, creatività e
motivazione così all'insegnamento come all'apprendimento.
Prende conclusivamente atto delle due visioni programmatiche a confronto, di cui
l'una a suo giudizio più valida contenutisticamente e l'altra volta unicamente
ad escogitare un terreno di modifica, e si augura che le correzioni che il
centro-destra si appresta ad introdurre nell'ordinamento scolastico vigente non
siano così squassanti da farne vacillare l'impianto.
La senatrice SOLIANI accoglie l'invito al confronto sul presente e il futuro
della scuola italiana cui il Parlamento è chiamato, in un tempo peraltro a suo
giudizio troppo breve.
Ella sottolinea anzitutto i passaggi fondamentali che dovranno caratterizzare la
futura società italiana: coesione nazionale (di cui il sistema di istruzione
rappresenta un pilastro), cittadinanza attiva, dinamismo e competizione, patto
fra istituzioni, società ed economia affinché l'Italia svolga il suo ruolo nel
contesto mondiale. In tal senso, l'istruzione e la formazione sono
l'infrastruttura decisiva del Paese, nei confronti della quale il progetto del
Governo sembra tuttavia intervenire con aggiustamenti di piccolo cabotaggio
anziché con una iniziativa di ampio respiro. Ciò testimonia, a suo avviso, il
ruolo residuale che la scuola riveste a fini di cambiamento nell'ottica di
centro-destra, sì da non meritare neanche l'approntamento di adeguati
investimenti. Al contrario, ella ritiene che la riforma scolastica metta in
gioco i diritti sociali e civili dei cittadini.
E' ben vero che la riforma del Titolo V della Costituzione impone un intervento
di adeguamento dell'ordinamento scolastico; il disegno di legge n. 1306 non si
pone tuttavia affatto in quest'ottica, bensì in quella di sostituire di per sé
la legge n. 30. Esso non ridetermina infatti i ruoli fra Repubblica e sistema di
istruzione, così come fra istituzioni scolastiche, regioni, enti locali e
società civile, evitando di dare risposte precise in assenza di una chiara
indicazione programmatica. Né esso risponde ad una nuova, forte domanda
proveniente dalla società civile e relativa alla costruzione della
cittadinanza. In linea con una visione mercantilistica della società, esso
prevede infatti una rigida separazione fra il canale dell'istruzione liceale e
quello dell'istruzione e formazione professionale, tralasciando l'impegno a non
perdere alcun soggetto nel percorso formativo.
La senatrice Soliani si sofferma quindi sugli aspetti di maggior debolezza del
provvedimento governativo, in termini di autonomia: risulta infatti cancellato
il curricolo delle istituzioni scolastiche autonome, inopinatamente sostituito
dai piani di studio, così come viene dimenticato l'obiettivo di un'autonomia
del sistema scolastico dentro il Paese, che dialoghi ma non dipenda da altre
strutture.
Ella lamenta poi che il disegno di legge non garantisca in modo sufficientemente
chiaro l'indirizzo di unità nazionale, su valori condivisi, nella cornice
europea, ponendo scarsa attenzione al forte dibattito culturale in corso
sull'argomento presso le istituzioni scolastiche.
Quanto all'accesso anticipato al percorso formativo, ella giudica negativamente
la conseguente precarizzazione, che mette in difficoltà le famiglie e si
connette a suo giudizio ad un altrettanto precario accesso al mondo del lavoro.
Osserva altresì che esso rischia di attribuire un ruolo assistenziale alla
scuola dell'infanzia.
Dopo essersi soffermata sulla tematica dell'obbligo scolastico, rammentandone i
termini costituzionali e materiali, ella afferma con decisione che le logiche di
mercato non possono rappresentare il perno della politica scolastica, la quale
deve essere invece in stretta sintonia con la società civile. Contesta al
riguardo l'ipotesi prefigurata dal senatore Valditara di accordi fra direzioni
scolastiche ed imprese per la regolamentazione dell'alternanza scuola-lavoro, in
quanto incuranti della centralità delle istituzioni scolastiche.
Nel deplorare lo svilimento del ruolo rivestito dall'istruzione nella
costruzione della vita sociale del Paese nell'ottica di centro-destra, ella
critica poi la scelta di anticipare l'opzione fra prosecuzione degli studi e
istruzione e formazione professionale, che contrasta con l'obiettivo di
coniugare il percorso intellettuale e la cultura del lavoro.
Il disegno di legge del Governo modifica altresì, prosegue la senatrice
Soliani, le relazioni fra docenti e studenti, in una visione frammentaria del
processo formativo.
Del tutto insufficiente appare infine l'approccio per la formazione dei docenti,
cui la società moderna chiede una visione integrata e di prospettiva. La
riforma perde pertanto l'occasione di fare un salto di qualità su questo piano,
corrispondendo ad una crescente domanda di educazione e formazione, di visione
prospettica, di competitività, e cancella quella visione unitaria che aveva
invece caratterizzato la stagione del centro-sinistra.
Il senatore DELOGU nega che il ricorso alla delega legislativa espropri il
Parlamento del suo ruolo istituzionale, come dimostrato dall'ampio dibattito in
corso. Né peraltro l'opposizione pare sempre rispettare le decisioni assunte in
sede parlamentare, promuovendo contro di esse scioperi e girotondi.
Quanto ai contenuti del disegno di legge n. 1306, egli ne apprezza anzitutto la
centralità assicurata agli studenti. Né può del resto ipotizzarsi che la
legge costituzionale n. 3 dello scorso anno, di riforma del Titolo V della
Costituzione, possa condurre ad effetti devastanti quali un diverso valore dei
titoli di studio conseguiti nelle diverse regioni. Correttamente pertanto il
progetto governativo fissa parametri validi su tutto il territorio nazionale,
assicurando ai piani di studio nuclei omogenei.
Si sofferma quindi sulla separazione fra istruzione liceale e istruzione e
formazione professionale, convenendo al riguardo con le osservazioni del
senatore Bevilacqua in ordine alle difficoltà di una effettiva fluidità fra i
due canali. Sollecita pertanto una riflessione sull'opportunità di assicurare
reali possibilità di passaggio fra un canale e l'altro.
La senatrice MANIERI dichiara di condividere in linea di principio l'intento di
riformare il sistema dell'istruzione del Paese. Nega tuttavia che il disegno di
legge Moratti possa considerarsi il primo progetto di ampio respiro dopo la
riforma Gentile. La stessa esposizione introduttiva del presidente relatore
Asciutti ha del resto messo in evidenza gli stretti legami storici fra crescita
demografica e istruzione di massa, fra sviluppo economico e ampliamento dei
diritti dei cittadini, fra cui in primo luogo quello all'istruzione.
La prima riforma di sistema dell'Italia repubblicana si ebbe pertanto, a suo
giudizio, nel 1962 allorché il primo Governo di centro-sinistra varò la scuola
media unificata, l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni e l'abolizione
dell'avviamento professionale.
Oltre alla liberalizzazione degli accessi universitari disposta dalla legge
Codignola sull'onda della contestazione studentesca, la seconda riforma di
sistema fu poi quella dell'autonomia varata dal Governo dell'Ulivo nella scorsa
legislatura.
Ciò dimostra inequivocabilmente come l'istruzione rappresenti un elemento
essenziale del processo di modernizzazione e di lotta alla diseguaglianza
sociale.
La politica scolastica italiana è peraltro costellata anche di fallimenti, dal
riordino della scuola secondaria superiore (che avrebbe dovuto seguire la scuola
media unica) alla riforma in senso autonomistico dello Stato (che avrebbe dovuto
seguire l'autonomia scolastica). Le ragioni del fallimento non risiedono
tuttavia in un deficit di informazione e consultazione, bensì in un
eccesso di contrapposizione ideologica e nell'incapacità di risolvere il nodo
della formazione professionale, oltre che nel peso rivestito dalla Chiesa
cattolica.
Sembrava dunque che, superata l'impostazione gentiliana e tramontata la cultura
tardo-comunista a favore di una scuola unica per tutti, la società italiana
fosse pronta per una riforma ragionevole, non ideologica, in linea con
l'integrazione europea.
Il disegno di legge n. 1306 testimonia invece il contrario e la senatrice
Manieri muove pertanto obiezioni di metodo e di merito nei suoi confronti,
lamentando l'immaturità politica del Governo nel non prestare ascolto ai
movimenti di piazza.
Nel sottolineare l'irresponsabilità del Governo nel non dare attuazione ad una
legge vigente, formalmente non ancora abrogata, ella ritiene del resto che il
progetto governativo, viziato di totalismo riformatore, contenga già in sé il
germe del suo fallimento, anche per le difficoltà che inevitabilmente incontrerà
nel percorso parlamentare, con particolare riferimento al parere che su di esso
dovrà esprimere la Commissione parlamentare per le questioni regionali nella
composizione integrata prevista dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3
dello scorso anno.
Quanto ai contenuti del provvedimento, ella critica che la riforma riapra un
dibattito che per anni ha ostacolato qualunque riforma: quello sulla distinzione
tra istruzione liceale e istruzione e formazione professionale. Al riguardo, il
centro-sinistra aveva raggiunto una larga convergenza nel Paese e fra le forze
politiche consegnando alla scuola la titolarità del diritto all'istruzione fino
al quindicesimo anno di età. Ora invece l'obbligo scolastico trascolora in un
obbligo formativo di durata peraltro variabile (dodici, undici o tredici anni),
che contrasta con il concetto stesso di obbligo.
Se peraltro si conviene che la formazione professionale sia un sapere forte e
non residuale, come era nella concezione gentiliana, non si può prescindere
dalla constatazione delle differenze territoriali che caratterizzano il Paese.
Occorre dunque che lo Stato si impegni a garantire un sistema dignitoso ed
omogeneo prima di consegnare l'istruzione e formazione professionale alle
regioni.
Conclude confermando le forti perplessità sul provvedimento che, a suo
giudizio, introduce gravi disparità e rischia comunque di essere fallimentare.
Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.