GIACOMO LEOPARDI

La Vita e le Opere

Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati. Né il paese d'origine, né l'ambiente familiare favorirono, al poeta,  la partecipazione al dibattito culturale di questi anni. Leopardi cresce in un ambiente culturale chiuso e retrogrado, tendente all'antico e al vecchio piuttosto che al nuovo. Nonostante ciò, il poeta riesce a riservarsi degli spazi in cui curare i temi universali della condizione umana: il Rapporto uomo-natura, il Problema della felicità, del dolore e della noia. Leopardi conosce bene queste problematiche dal momento che molti di questi temi lo riguardano da vicino, è sua intenzione però, superare le proprie vicende personalistiche, così da fare diventare universale  la sua  poesia.

Infanzia solitaria, soffocata dall'eccessivo rigore dei genitori, si conclude con «sette anni di studio matto e disperatissimo» che proveranno Leopardi fisicamente  e moralmente. Questo studio così accanito, gli donano una cultura vastissima e conquista  sin da giovanissimo l'appellativo di "erudito". Egli stesso stila un elenco di circa 240 opere giovanili tra traduzioni, volgarizzamenti, tragedie, epigrammi, dialoghi filosofici, saggi eruditi. Sono opere che lasciano intravedere le basi del pensiero leopardiano e che gli forniscono una fortissima conoscenza della lingua. Scrive la Storia dell'Astronomia, 1813; il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, 1815 e nello stesso anno, l'orazione Agl' Italiani in occasione della liberazione del Piceno; scrive una tragedia, molte traduzioni ed una infinità di versi. Sostanzialmente la sua prima formazione è di stampo settecentesco  prediligendo l'amore per l'erudizione,  il gusto per  poesia arcadica e la lingua francese. Nonostante il ristretto orizzonte culturale cui lo costringeva il suo ambiente natìo, Leopardi mostra sin dalle opere giovanili una serietà morale e un entusiasmo intellettuale che, nelle opere più mature, diventerà volontà di intervento, atteggiamento combattivo tipico di chi si sente impegnato in una battaglia culturale. Due sono le tappe che segnano questo cambiamento: la così detta conversione estetica e la conversione filosofica.

Per conversione estetica intendiamo il mutamento avvenuto nel gusto di Leopardi tra il 1815-1816, il  passaggio dall' Erudizione al Bello. Ora Leopardi non si limita a fare considerazioni filologiche intorno alla poesia dei classici, ma allarga la sua azione di poeta, non considera più la lezione neoclassica nel suo valore esclusivo di rigore stilistico, ma anche di impegno nella poesia civile e soprattutto segna l' apertura a tutto un mondo di idee e persuasioni che non appartenevano alla formazione giovanile. Leopardi supera ampiamente quel limite angusto dei condizionamenti familiari e culturali che gli stavano troppo stretti e come rinfrancato, compone le Rimembranze, l' Appressamento della morte, l' Inno a Nettuno.

Il 1817 è l'anno di quella che lo stesso Leopardi chiama la conversione filosofica, il passaggio cioè dal Bello al Vero, dalla Poesia alla Filosofia o meglio, dalla poesia di immaginazione, propria degli antichi alla poesia sentimentale. Determinante in questa fase della poesia leopardiana fu l'incontro con Giordani, l'entusiasmo con cui Leopardi accolse le idee di Alfieri e quelle romantiche. Giordani, soprattutto, indirizzò il poeta verso una dimensione nazionale che non era pensabile riscontrare nell'ambiente recanatese, si apriva uno spiraglio attraverso cui filtravano quelle idee anticlericali, che volevano il rinnovamento nazionale e che osteggiavano la restaurazione. Alfieri invece rappresentava quella tensione eroica, quell'energia morale e quello spirito libertario a cui Leopardi iniziava a tendere. A testimonianza dello scontento di Leopardi riportiamo alcune righe della lettera scritta all'amico Giordani il 30 aprile 1817:

« Unico divertimento in Recanati è lo studio: Unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia. So che la noia può farmi manco male che la fatica, e però spesso mi piglio la noia, ma questa mi cresce com' è naturale, la malinconia, e  quando io ho avuto la disgrazia di conversare con questa gente, che succede di rado, torno pieno di tristissimi pensieri agli studi miei, o mi vo covando in mente e ruminando quella nerissima materia. »

Tra il 1816 e il 1818 maturano anche le posizioni di Leopardi relative al Romanticismo, le sue idee sono espresse in vari passi dello Zibaldone e nei due saggi lettera ai Sigg. compilatori della «Biblioteca italiana» in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël; e il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, questi scritti però rimasero inediti. E' importante sottolineare l'intervento del poeta nel dibattito romantico per rilevare il suo impegno militante e la sua volontà di partecipare ad un confronto nazionale rifuggendo lo sdegnoso silenzio in cui molti dotti scelgono di chiudersi. Leopardi non condivide tutte le tesi del Romanticismo ma ne accoglie le più importanti: la polemica contro la mitologia, le regole, il principio d'imitazione della tradizione classicista.

La critica  al Romanticismo invece, tiene conto della funzione della letteratura nella società moderna, partendo dalla contrapposizione tra ragione  e natura. La poesia è considerata come natura, appartenente ai sensi, alla fantasia, all' istinto; la poesia classica è quella più vicina all'età primitiva ed è quindi più vicina alla natura mentre la poesia dei moderni è priva della genuinità e della naturalezza. Natura intesa non tanto seconda la concezione di Rousseau come la condizione di maggiore felicità dell'uomo ma natura come ispiratrice di grandi sentimenti ed azioni eroiche, di modi e comportamenti autentici, secondo la concezione di Vico. Data questa premessa, diciamo che Leopardi respinge l'idea dei Romantici che vogliono l' età moderna come ispiratrice di poesia, in quanto quella moderna è l'età in cui la ragione uccide la fantasia. Allo scrittore moderno spetta il compito di ripristinare i valori della natura ed attraverso lo studio della poesia classica la letteratura deve riappropriarsi dei valori espressi dall'età primitivi e delle sue bellezze eterne ed immutabili. Ed anche la poesia sentimentale che leopardi ammira nei romantici, non è una scoperta dell'età moderna ma deriva dagli antichi: Omero, Virgilio, Dante e Petrarca. 

Nel 1819 un'infermità agli occhi toglie a Leopardi anche il piacere della lettura ed accresce la sua malinconia e la sua solitudine, la vita a Recanati gli diventa sempre più insopportabile e tenta una disperata fuga dalla casa paterna ma il tentativo risulta vano. Leopardi scopre così la noia, la nullità delle cose, la vanità della vita e scrive a giordani il 19 novembre 1819:

«Questa è la prima volta che la noia non solamente mi opprime e stanca, ma mi affanna e lacera come un dolor grandissimo, e sono così spaventato della vanità di tutte le cose, e della condizione degli uomini, morte tutte le passioni, come sono spente nell'animo mio, che ne vo fuori di me, considerando ch'è un niente anche la mia disperazione. »

La poetica che Leopardi va sviluppando tiene conto di questa tristissima fase della vita del poeta, è come se lui stesse sperimentando su se stesso il passaggio dallo stato primitivo che è l'età giovanile e ricca d' immaginazione allo stato moderno in cui la ragione prende il sopravvento sulla fantasia. Ben presto Leopardi parla di vane le speranzeineluttabile dolore e inizia  a profilarsi, nella sua poetica, il pessimismo storico: attraverso la malattia Leopardi si rese conto dei condizionamenti che la natura esercita sull' uomo, gli fu evidente l'infelicità ed il dolore che appartengono a ciascun uomo. Traccia di questa filosofia del dolore si riscontra  nello Zibaldone.

Lo Zibaldone di pensieri è una vastissima raccolta di pensieri, appunti, annotazioni, di ricordi che Leopardi compose dal 1817 al 1832; pubblicata dopo la morte, tra il 1898-1900 in 7 volumi. Nello Zibaldone sonno annotati concetti che riguardano i diversi argomenti della filosofia, la morale, la psicologia, la poesia, la linguistica; nella prima pagina si legge: «La ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la natura è grande, la ragione è piccola ». Questa è la fase chiamata Pessimismo Storico la fase cioè, in cui Leopardi fonda la sua riflessioni sulle antitesi natura-ragione, bello-vero, poesia-filosofia, immaginazione-sentimento. In altre parole, la Natura crea gli uomini felici ma la ragione distrugge ciò che ha creato la natura e rende infelici gli uomini; gli antichi erano più felici perché avevano grande immaginazione e grande sensibilità che li rendeva capaci di azioni magnanime, il mondo moderno invece, è chiuso nei confini del vero ed ha imprigionato l'uomo in una filosofia utilitaristica, priva di grandi passioni. Leopardi pone al centro della sua riflessione il problema della felicità o meglio, dell'infelicità cui è vittima l'uomo del presente che paga la crisi storico-sociale determinata dal processo di incivilimento dal passaggio cioè dall'età antica all'età moderna. E non trascura di analizzare i sentimenti della noia, della vanità delle cose, il dolore, la perdita delle illusioni consolatrici. L'atto eroico del poeta sta nell'accettare pienamente le conseguenze razionali e morali delle sue convinzioni, l'eroismo di Leopardi sta nell'accettazione coraggiosa della realtà, rifiutando qualunque tipo di facile scappatoia. Contemporaneamente a questi pensieri nascono le prime esperienze poetiche del 1818-1822, tra cui Le Canzoni Civili.

Le Canzoni Civili

Leopardi le scrisse in un arco di tempo compreso tra il 1818 e il 1822, le prime canzoni sono una sorta di sperimentalismo utile a portare in luce le sue riflessioni più profonde e la sua sensibilità. Citiamo le canzoni:  Per una donna inferma di malattia lunga e mortale; Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore e la più famosa All'Italia del 1818. In essa si manifesta la delusione patriottica del Leopardi che è la stessa delusione degli intellettuali italiani che avevano sperato in una situazione più favorevole per l'Italia dopo l'esperienza napoleonica ed invece si erano trovati a fare i conti con la restrittiva età della Restaurazione. Le riflessioni presenti nella poesia devono essere interpretate secondo  la chiave di lettura della delusione sociale devono senza ricondurle, almeno per il momento alla sua situazione autobiografica di solitudine e disperazione del poeta. In primo piano c'è infatti la passività e l'inerzia di una società senza ideali, il rifiuto della Restaurazione ed una società moderna in cui scompariva la natura più nobile dell'uomo così lontana dalla società primitiva ricca di illusioni e di buoni sentimenti. I versi della canzone descrivono un' Italia in piena decadenza, c'è l'invocazione alla lotta per quanto solitaria e disperata e c'è il richiamo all' antica Grecia, a proposito della decadenza dell' Italia, Leopardi scrive:

« Se fosser occhi tuoi due fonti vive,

mai non potrebbe il pianto

adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;

che fosti donna, or sei povera ancella.

.... Perché, perché? dov'è la forza antica,

dov'è l'armi e il valore e la costanza?

chi ti discinde il brando?

chi ti tradì? qual arte o qual fatica

o qual tanta possanza

valse a spogliarti il manto e l'auree bende?»

Altre canzoni civili: Sopra il monumento di Dante; Nelle nozze della sorella Paolina; A un vincitore nel pallone; Ad Angelo Mai. Quest'ultima ha un'incisione maggiore rispetto alle altre affrontando il motivo della decadenza non solo dell' Italia ma dell'uomo in quanto tale. E' un passaggio ulteriore verso il pessimismo, è la contrapposizione della miseria irreversibile del presente alla grandezza autentica dei tempi antichi, quando l'uomo era più vicino alla natura. A questa drammatica età di decadenza il poeta sente di dover contrapporre gli esempi dei grandi esempi del passato: Dante Colombo, Alfieri capaci di opporre all' inevitabile evanescenza delle illusioni forza e capacità di resistenza,  in questa canzone si trovano i miti e le immagini della poesia più alta del leopardi ed anche il linguaggio è quello tipico, troviamo espressioni tipo belle fole, sogni leggiadri, felici errori, nostra vita ultimo inganno. La canzone è dedicata al cardinale Angelo Mai che in qualità di bibliotecario dell' ambrosiana di Milano e poi della Vaticana aveva rinvenuto 6 libri del De Repubblica di Cicerone.

Allo stesso filone poetico appartengono le canzoni del suicidio,  Bruto Minore, 1821; e Ultimo canto di Saffo 1822; Sia il Bruto Minore che Saffo, la poetessa infelice, sono due simboli del pessimismo del leopardi, anzi in essi il poeta si identifica per accettare il fallimento degli ideali di virtù e di patria, nel primo caso e nel secondo, di accettare di scendere nel  Tartaro costretta da una natura che ha voluto un animo grande e nobile racchiuso in un corpo deforme, vietandole l'amore. C'è una specie di accusa verso la natura che non rende infelici solo i moderni se persino gli antichi lo erano. E' il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico, che sarà ancora più manifesto nelle Operette Morali, che individua il dolore non solo nella storia degli uomini ma investe anche la natura. Il lamento di Saffo è compatibile con una protesta contro la deformità fisica che vuol dire anche protesta contro la natura che compromette la felicità dell'uomo fin dai tempi antichi. La natura perde la sua caratteristica di madre benevola che, anzi, imprigiona in un corpo brutto e giovane un animo nobile e grande; inevitabile pensare a un certo autobiografismo di fondo che supera però la delusione amorosa, ce lo attesta lo stesso Leopardi in un pensiero dello Zibaldone datato 5 marzo 1821 dicendo, a proposito dell' uomo d'immaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo:

« ....nella considerazione e nel sentimento della natura e del bello, il ritorno sopra se stesso gli è sempre penoso. Egli sente subito e continuamente che quel bello, quella cosa ch'egli ammira ed ama e sente, non gli appartiene. Egli prova quello stesso dolore che si prova nel considerare o vedere l'amata nelle braccia di un altro, e del tutto noncurante di voi. Egli sente quasi che il bello e la natura non è fatta per lui, ma per altri.»

 

Dopo le canzoni ed altra produzione meno importante arriva la stagione dei Piccoli Idilli, cioè quei canti composti tra il 1819 e il 1821 che Leopardi pubblicò tra il 1825 e il 1826. La prima annotazione riguarda la materia trattata che è decisamente autobiografica, porta in primo piano l'animo del poeta e dell'uomo a discapito della finalità etico-civile della materia poetica. In primo piano i tempi ed i luoghi familiari rivisti attraverso la maturità dell'uomo che non crede più al mito della natura benigna. Negli Idilli giunge infatti a maturazione quel discorso iniziato nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica che vedeva nella poesia d'immaginazione propria delle età antiche, in cui la natura prevale sulla ragione, la vera poesia e considerava la poesia del sentimento propria della civiltà moderna, in cui la ragione prevale sulla natura, una forma di poesia riflessa. In pratica si porta  a maturazione quella contrapposizione tra natura- ragione che rende impossibile la poesia d'immaginazione all'uomo moderno. Egli, l'uomo moderno cioè, è costretto nei limiti della poesia di sentimento. Nonostante ciò Leopardi riconosce la vera poesia nella lirica pura che è espressione e canto dei moti interiori del sentimento. Altri due concetti fondamentali nella poetica di Leopardi sono il concetto di infinito/ indefinito e il concetto di  rimembranza, sono i due concetti attraverso cui passa il piacere estetico che per Leopardi consiste nella capacità di provare sensazioni appassionate. la poesia dunque è baluardo di quelle sensazioni, di quei sentimenti ed affetti che sono bisogni insopprimibili dell' uomo e che l'età moderna tende a sopprimere. Il linguaggio poetico userà parole che indicano la moltitudine, la larghezza, la vastità, l'indefinito poiché sono parole di grande effetto, per l'idea l'infinità; e nello Zibaldone il poeta conferma: le parole lontano, antico e simili, sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste e indefinite e non determinabili e confuse....( Zibaldone, 28 settembre 1821)

Maria Giovanna Argentiero

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