Sul piano più specificamente letterario questi anni producono un nuovo gusto che costituisce un ponte di passaggio tra l'arte illuministica e quella romantica. Stiamo parlando del Neoclassicismo che, soprattutto in Italia, è la corrente che meglio interpreta il gusto di questi anni, esso non sorge all'improvviso e non è sicuramente un fenomeno omogeneo. La primissima suggestione provenne dal ritorno alla luce dei modelli dell'arte classica negli scavi di Pompei (1748). Generalmente infatti si ritiene che siano stati gli scavi di Pompei a dare la spinta decisiva al nuovo corso del classicismo archeologico, a patto però, di ammettere che questa impresa era stata promossa da un nuovo interesse e da una nuova sensibilità. L'interesse per l'archeologia investe tutta l'Europa, fioriscono ovunque scavi e studi e l'Italia diventa una meta obbligata per molti intellettuale; basti pensare a Goethe o a Wickelmann. Si guarda all'antichità classica come a un momento irripetibile di perfetta umanità. Soprattutto Winckelmann, dopo essersi trasferito a Roma, seguì da vicino gli scavi di Pompei e si interessò di archeologia. Nel suo capolavoro Storia dell'arte dell'antichità, e in altri scritti elaborò la teoria del bello ideale, che si attinge non con l'imitazione della natura ma dell'arte greca e che mira a un' arte intesa come pura armonia, svincolata da ogni carattere accidentale, caratterizzata dall'equilibrio e dal dominio delle passioni « come la profondità del mare che resta immobile per quanto agitata ne sia la superficie » citando le parole dell'autore. L'aspirazione di Winckelmann alla « nobile semplicità e di una quieta grandezza » indica la precisa volontà di richiamarsi alla purezza e linearità delle forme, allontanandosi definitivamente dall'artificiosità del Rococò, estremo sviluppo del Barocco, che aveva dominato incontrastato nella prima metà del secolo precedente. Per l'intellettuale di questi anni l'arte classica è l'arte in assoluto, un patrimonio di cultura tramite cui opporre alla presente "decadenza" politica, economica, militare e culturale. E' un bene in cui tutti gli italiani possono riconoscersi.Come se il Neoclassicismo si costruisse una patria ideale, un propria Ellade a cui mirare nostalgicamente in cui superare le inquietudini di un'epoca travagliata.Gli scrittori più sensibili idealizzano un doloroso contrasto: là, lontananza, una bellezza ideale, espressione di un animo non toccato dalle passioni; qui, vicini, i dubbi, l'angoscia del presente e del mondo moderno. In Italia, questo tipo di neoclassicismo lo troviamo soprattutto nella poesia foscoliana, altri autori infatti prediligono un neoclassicismo più formale, ad esempio, il Neoclassicismo di Monti, napoleonico e ufficiale. Il nome di Monti è legato anche alla ricerca di una lingua letteraria idonea alla dominante estetica neoclassica da un lato, dall'altro si tratta di un vero e proprio rinnovamento linguistico a seguito di importanti eventi politici.
IL RINNOVAMENTO LINGUISTICO
Eredità dell'età napoleonica in Italia fu una unità territoriale più vasta ed una sostanziale unità giuridico-amministrativa, che a loro volta misero in moto una serie di ulteriori modificazioni quali, il rafforzamento del ceto medio, la maggiore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, la diffusione dell'istruzione, l'allargamento del campo del personale intellettuale, il consolidamento del giornalismo. In questo quadro si consolida l'influsso del francese sulla lingua italiana, principalmente per lo scambio linguistico con gli eserciti francesi di stanza in Italia. Il francese si insinuò nei vari campi del linguaggio ad eccezione del campo letterario, più impermeabile alle innovazioni, per le resistenze opposte da una lunga tradizione e per la permanente separatezza tra lingua parlata e lingua scritta. Nel campo letterario, anzi, maturò una contrapposizione alla penetrazione del francese nella lingua italiana. Così, nelle rinnovate discussioni sulla questione della lingua, la difesa del patrimonio linguistico fu un aspetto di quella più vasta difesa del patrimonio culturale italiano attraverso cui si concretizzò l'opposizione all'egemonia francese. Le posizioni in questo dibattito furono sostanzialmente due, la prima delle quali fu rappresentata dal purismo di Cesari, della seconda si fece portavoce Monti.
Antonio Cesari sostenne il ritorno agli scrittori del Trecento, da lui considerato il secolo d'oro della nostra lingua, quando tutti scrivevano e parlavano bene. Sostenne le sue tesi in Dissertazione sopra lo stato presente della lingua, nei dialoghi Le grazie e le Bellezze di Dante, curò l'edizione del Vocabolario della Crusca (1806-1811)
Vincenzo Monti contrastò la tesi di Cesari soprattutto perché egli escludeva quattro secoli di produzione letteraria italiana. Nei sette volumi della Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca, Monti espresse bene le sue tesi, egli intendeva sostanzialmente confutare la legittimità della grammatica normativa proposta da Cesari che pretendeva di fermare in un determinato momento esemplare lo sviluppo linguistico della nazione; questa visione linguistica è angustamente municipale e basata su una tradizione esclusivamente fiorentina e toscana. Monti parla invece della necessità di una grammatica storica che possa creare uno strumento linguistico rappresentativo di tutto il sapere della nazione. Egli sente l'urgenza di questa lingua comune che è «la lingua che forma il solo legame fra questi miseri avanzi degli antichi signori del mondo; la lingua che in mezzo a tanti dialetti è la sola per cui veniamo a intenderci fra noi; e si toglie che a brevi distanze non diveniamo gli uni agli altri popolo straniero, ma seguitiamo, a dispetto della fortuna, ad essere pur sempre famiglia italiana [....] quindi lingua non Fiorentina, non Senese, non Pistoiese, ma Italiana».
L'intuizione di Monti anticipa non solo l'esigenza che, di lì a qualche tempo, si sarebbe sentita fortemente, la questione cioè di una lingua comune a tutti gli italiani ma anticipa soprattutto l' espressione valida ancora oggi di una lingua viva, in movimento, che si modifica e che evolve. A ben guardare però la proposta di Monti ha un grosso limite, egli infatti esclude gli apporti dialettali e guarda esclusivamente alla produzione letteraria italiana elevata, ricca e raffinata. Monti, figlio della sua epoca, culturalmente è un classicista-illuminista mentre sul piano ideologico è il più coerente difensore dell'idea di nazione italiana.
Al di là della questione linguistica Vincenzo Monti è ricordato poiché, dopo Foscolo, egli è il nostro maggior poeta neoclassico ed è in un certo senso lo specchio della sua età nelle varie tendenze. Infatti egli ci regala le sue opere suddivise per periodi:
1) le opere del periodo romano
2) le opere del periodo repubblicano
3) le opere degli ultimi anni
Le opere del periodo romano: Vincenzo Monti nacque in Romagna il 19 febbraio del 1754, si trasferì a Roma nel 1778. Qui, sotto il pontificato di PioVI, dominava l'esaltazione classicista, supportata dai rinvenimenti archeologici e si esprimeva in un gusto monumentale e fastoso finalizzato a dar lustro alla Roma dei papi e, al contempo, a celare i reali problemi dello Stato: l'arretratezza economica, il disordine amministrativo, la fame e le piaghe popolari. Rispetto a questa situazione Monti affermò l'esigenza di una maggiore apertura in senso moderno della cultura italiana ma ciò non significa che egli non cercasse, anche per fini pratici, di egemonizzare le manifestazioni del classicismo ufficiale. Anzi, la sua prima opera significativa è la Prosopopea di Pericle che prende spunto dalla scoperta di un busto di Pericle, per far esaltare dallo stesso Pericle lo splendore del «nuovo Rinascimento» romano, nel quale egli aveva voluto ritornare alla luce. Dalla corrispondenza con il gusto ufficiale derivò il successo dell' ode che fu apposta su piedistallo che sorreggeva il busto nei Musei vaticani. Nella stessa direzione, per così dire ufficiale, si colloca il poemetto in terzine La bellezza dell' universo che meglio rivela l'abilità di Monti nell'utilizzare gli apporti culturali più svariati; compose il Pellegrino apostolico in occasione del viaggio a Vienna di papa Pio VI. Si dedicò poi alla stesura dell'ode Al signor di Montgolfier (1784), scritta in occasione del primo volo in aerostato e dedicata al signor di Montgolfier perché i due fratelli per primi avevano fatto salire al cielo un pallone (la mongolfiera) senza passeggeri. Scrive anche le tragedie l' Aristodemo e il Galeotto Manfredi, nella prima tragedia si sente l'influsso di Alfieri nella solitudine del tiranno e nel peso del potere, nella seconda l'influsso di Shakespeare e dell' Otello. Monti cerca di creare per il nuovo pubblico borghese che giunge a teatro, un nuovo dramma che avrebbe dovuto interrompere la tradizione troppo aulica e aristocratica della tradizione italiana. Dopo le tragedie Monti inizia a pensare alla traduzione di Omero e inizia la Musegenia in cui prende forma la sua conoscenza del mondo classico e dei suoi miti, attraverso la narrazione della storia delle Muse, Monti esprime un aspetto di fondo della civiltà neoclassica che ispirerà l' Urania di Manzoni e le Grazie di Foscolo. Del periodo romano è anche la Bassvlliana (1793), una cantica il cui nome deriva da Bassville, un segretario della Legazione francese a Napoli, ucciso a Roma dalla furia popolare: in essa secondo lo schema delle visioni e ispirandosi a Dante, il poeta immagina che l'anima di Bassville, prima di comparire dinnanzi a Dio e di essere perdonata, sia guidata da un angelo sui cieli di Francia per assistere agli orrori della Rivoluzione e, in particolare, all'esecuzione capitale di Luigi XVI.
Le opere del periodo repubblicano: sono il frutto del distacco di Monti dalla Curia pontificia e dell'apertura verso nuove idee, questo atteggiamento gli procurò non poche inimicizie tanto che dovette pensare alla fuga da Roma verso Milano. E se, nella Bassvilliana aveva condannato la Rivoluzione, ora diventa esaltatore degli ideali democratici. A Napoleone dedica il Prometeo, scrive le tre cantiche polemiche Il fanatismo, La superstizione e il pericolo; si tratta di opere che nascono dal superamento delle sue precedenti convinzioni e che sono un esempio di quel Neoclassicismo repubblicano che cercava di legittimare le conquiste moderne con riferimento alle virtù antiche, nella fattispecie, le virtù civiche e di libertà della Grecia antica e di Roma repubblicana. Nel 1799 a causa dell'invasione delle truppe austro-russe, Monti dovette abbandonare l'Italia per la Francia, l'esperienza parigina fu fondamentale per la sua attività e per la definizione delle sue idee politiche giacché da Parigi egli poté osservare l'Italia da un'angolazione diversa. In Francia lavorò a la Mascheroniana e alla tragedia Caio Gracco; la prima è una visione in terzine per la morte di Lorenzo Mascheroni che, presso il trono di Dio e alla presenza Giustizia e Pietà, rievoca le sciagure d'Italia con le ombre di Parini, Verri e Beccaria; la seconda affronta sotto la visione classica problemi contemporanei secondo le indicazioni del classicismo repubblicano e delinea il profilo di un personaggio capace di grandi riforme ma non sanguinarie. A Parigi si accinge a tradurre la Pulcella d' Orleans di Voltaire, mentre, la canzonetta Per la liberazione d'Italia è scritta in patria dopo un ritorno reso possibile dalla vittoria di Marengo al seguito delle truppe napoleoniche, così, con l'affermarsi del potere di Napoleone poté riprendere la sua attività poetica fino a diventare il poeta ufficiale e a ricevere il titolo di poeta del governo e assessore delle lettere e arti, in questo periodo dedica numerose opere a Napoleone. A discapito degli impegni pubblici e della sua attività di poeta ufficiale Monti, inizia a dedicarsi alla traduzione dell' Iliade, un progetto accarezzato fin dagli anni romani e che lo impegna per quasi quindici anni, questo sarà il suo capolavoro, l'opera per la quale egli resta veramente nella nostra storia letteraria italiana.
Le opere degli ultimi anni: Dopo la caduta di Napoleone, Monti si allontana dall'attività di poeta civile, si rifiuta di dirigere la «Biblioteca italiana» che era il periodico con cui gli austriaci cercavano di controllare la cultura italiana, dimostrando di non voler diventare strumento del nuovo regime. Ritorna in questo periodo l'interesse per la questione della lingua nella sua polemica anticruscante e antimunicipalistica a favore di un linguaggio nazionale. A questi ultimi anni appartiene la canzone Per il giorno onomastico della mia donna Teresa Pilker ( 1826) che è il documento di un Monti più intimo e ripiegato su se stesso.
Maria Giovanna Argentiero
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