I Promessi Sposi ebbero un tempo di scrittura molto lungo, la prima edizione del romanzo è datata 1821 e porta il titolo di Fermo e Lucia.
La trama del romanzo si ispira ad una delle grida che Manzoni lesse nel saggio di Economia e Statistica di Melchiorre Gioia e che sanciva delle penali per chi avesse minacciato un parroco di non celebrare matrimoni. Manzoni sosteneva che la capacità e l'abilità del letterato stava nel saper mettere in evidenza i problemi della società civile, e per fare ciò era necessario trovare soggetti che potessero interessare il maggior numero possibile di lettori tralasciando quei soggetti che potrebbero interessare la sola classe dei letterati. La primissima esigenza, per Manzoni, è di trovare un genere letterario che metta in primo piano i personaggi umili e collochi la storia ufficiale con i suoi personaggi potenti sullo sfondo. Serve un genere che, rispetto alle tragedie, rovesci la prospettiva della storia. Il romanzo viene individuato come genere popolare, eco di quelle idee manzoniane fondate sul cristianesimo evangelico, egalitario e popolare. Ma il romanzo non solo risponde all'esigenza di comunicare con un maggior numero di persone, ma lascia anche a Manzoni una certa libertà e una certa ampiezza di indagine, condizione indispensabile per arrivare alla ricerca di quel vero storico che porta in scena il mondo degli umili.
Manzoni percepì le potenzialità del romanzo storico attraverso la lezione dello scrittore inglese, suo contemporaneo, Walter Scott. Il romanzo vuole gettare un fascio di luce su quella parte della società che la storiografia tradizionalista lascia in ombra. Si potevano inventare fatti e personaggi rimanendo però rigorosamente connessi al tessuto storico, dando così un quadro preciso e verosimile della società contemporanea. Il romanzo cioè si presta a diventare mezzo espressivo della realtà. Lo scrittore si addentra in minuziose ricerche storiche, cerca addirittura di "compenetrarsi" nello spirito del tempo: « Faccio il possibile per compenetrarmi nello spirito del tempo, che debbo descrivere, per viverci dentro. E quanto al procedere degli avvenimenti e alla trama, penso che il miglior modo per non fare come gli altri, sia di applicarsi a considerare nella realtà il modo di agire degli uomini....»
Ma come può un romanzo essere rivolto al popolo se non si tiene in conto la lingua del popolo? Quello della lingua è un problema fortemente sentito nei Promessi Sposi, sia perché il romanzo porta in scena una molteplice quantità di personaggi che esige una trasformazione linguistica e stilistica in rapporto alla più variegata e complessa realtà rappresentata, sia perché Manzoni vorrebbe trovare una lingua per tutti. Cercare di parlare italiano dice Manzoni: « voleva dire adoperare tutti i vocaboli italiani che si sapevano, o quelli che si credevano italiani, e al resto supplire come si poteva, e per lo più, s'intende, con vocaboli milanesi [.....] e dare al tutto insieme le desinenze della lingua italiana. Supponete dunque che ci troviamo cinque o sei Milanesi in una casa, dove stiam discorrendo in milanese, del più o del meno. Capita uno; e presenta un piemontese, o un veneziano, o un genovese; e, come vuole la creanza, si smette di parlare milanese, e si parla italiano. Dite voi se il discorso cammina come prima; dite se non dovremo ora servirci di un vocabolario generico e approssimativo». E siccome Manzoni non aveva punti di appoggio nella tradizione italiana ( che, anzi, elogiava l'uso della circonlocuzione al posto dei nomi propri delle cose, ad esempio, il vino era detto liquor di Bacco), era estremamente difficile creare un rinnovamento ed un allargamento della lingua in direzione del popolo. Nonostante ciò, Manzoni trovò una soluzione al problema della lingua dei Promessi Sposi scegliendo il fiorentino parlato. La scelta cade sul fiorentino visto che Firenze ha esercitato per secoli una sorta di egemonia culturale sull'Italia.
Le molteplici difficoltà che Manzoni incontra prima di scegliere il toscano, sono annotate in una lettera del 1822 indirizzata al Fauriel:
« All'origine del feroce e pedantesco rigore dei nostri puristi c'è, a mio parere, qualche cosa di molto ragionevole, cioè il bisogno di una regola costante, in altri termini di una lingua convenuta tra quelli che scrivono e quelli che leggono. Penso soltanto che hanno torto di credere che tutta una lingua sia nella Crusca e negli scrittori classici, essendo impossibile che dai ricordi di una lettura risulti una conoscenza sicura, vasta, applicabile a ogni momento, di tutto il materiale di un idioma. Orbene ditemi un po' cosa deve fare un italiano che, non sapendo far altro, vuole scrivere.»
La lingua del Fermo e Lucia, gli pare un « composto indigesto di frasi e un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine...cavate per analogia o per estensione ». In questa prima edizione il problema della lingua diventa la necessità di trovare un linguaggio comune tra chi parla e chi ascolta, tra chi scrive e chi legge. Manzoni aspira ad abolire la distinzione tra lingua letteraria e lingua parlata, convinto del fatto che ogni lingua è regolata esclusivamente dall'uso, da un dialetto che si espande a tutta la nazione. In Italia la lingua comune è il dialetto di Firenze. All'uso del fiorentino, Manzoni guarda come allo strumento con il quale poter risolvere il problema di una letteratura realistica, accessibile a tutti, destinata a diventare modello di prosa narrativa moderna in Italia.
Tale è lo sforzo e l'impegno del Manzoni, nello scrivere i I Promessi Sposi, che per arrivare all'edizione definitiva occorsero circa venti anni. A partire dal 1821- 1823 gli anni del Fermo e Lucia; 1824- 1827 esce la prima edizione dei Promessi Sposi; 1840- 1842 finalmente l'edizione definitiva dopo il famoso « risciacquamento dei panni» in Arno. La lunga revisione cui fu sottoposto il romanzo rende l'idea di quanto arduo fosse il compito di Manzoni, egli doveva alleggerire e perfezionare il contenuto, i riferimenti storici, e inserire adeguatamente le scoperte narrative. Tutta una serie di digressioni di natura strettamente storico-giuridiche erano apparse da subito superflue ed una volta eliminate dall'opera diventeranno la Storia della Colonna Infame.
Trama dei Promessi Sposi
Manzoni immagina di aver ritrovato un vecchio manoscritto scritto in lingua dozzinale che però rappresenta una vicenda interessante e quindi la riscrive in dialetto. La vicenda è locata tra il 1628 e il 1630. Don Rodrigo un signorotto del luogo si innamora di Lucia Mondella fidanzata con Renzo Tramaglino. La storia inizia con i bravi di Don Rodrigo che inducono il timoroso Don Abbondio a non far celebrare il matrimonio. Quando Renzo va dal prete per prendere gli accordi per le nozze Don Abbondio inventa delle falsità per non far celebrare il matrimonio. Allora Renzo insieme a Lucia e Agnese, Madre di Lucia, convincono fra Cristofolo, un frate coraggioso cappuccino, ad aiutarli. Inizialmente fra Cristoforo cerca di convincere Don Rodrigo a lasciar perdere la vicenda, ma senza risultati perché egli sta progettando di rapire Lucia. Renzo si reca dall’avvocato Azzeccagarbugli, per avere un appoggio ma questi appena sente il nome di Don Rodrigo lo caccia fuori. A questo punto non avendo via di uscita si organizza un matrimonio a sorpresa ed anche se il matrimonio non andò a buon fine, l'idea fu provvidenziale perché quella notte doveva avvenire il rapimento di Lucia e la ragazza non era in casa. Era chiaro che il paese non era più sicuro per i due ragazzi e quindi , aiutati da fra Cristoforo, Lucia e Renzo fuggono. A questo punto le strade dei due ragazzi si dividono.
Renzo su consiglio di fra Cristoforo si reca a Milano dai frati cappuccini, mentre Lucia nel monastero di Monza, dove viene accolta da Gertrude, antica nobile, segnata da una vicenda tormentata. A Milano, Renzo assiste incredulo alle rivolte della popolazione per la mancanza del pane, lui si ripara in un osteria, nella quale sotto l’effetto del vino pronuncia delle frasi contro le ingiustizie e i prepotenti. A causa delle sue parole compromettenti viene catturato dalla polizia ma riesce a scappare e si rifugia a Bergamo ospitato dal cugino Bartolo. Don Rodrigo intanto, riesce a catturare Lucia grazie all’intervento dell’Innominato, un potentissimo signore che agisce per compiacere la volontà di Don Rodrigo. Ma le lacrime e le suppliche di Lucia prigioniera nel castello, inducono l'Innominato ad una crisi morale. Dopo una lunga notte tormentata, la luce del mattino giunge ad illuminare l'animo dell'Innominato che si converte e libera Lucia. La donna è finalmente libera ma legata al voto di castità fatto durante la sua prigionìa. Nel frattempo, a Milano, scoppia un’epidemia, e Renzo si lascia coinvolgere nei tumulti provocati dalla carestia e a stento si salva dalla prigione. Si ammala anche lui di peste ma riesce a guarire e torna nella città per cercare Lucia. In città però, la popolazione lo crede ancora ammalato e quindi portatore di peste e lo isolano. Alla fine supera questa diffidenza e viene a sapere che Lucia si è ammalata e si trova nel lazzaretto. Qui incontra fra' Cristoforo, anch’esso ammalato di peste ma nonostante la sua condizione assiste i malati, vede e perdona Don Rodrigo morente, ritrova Lucia in via di guarigione che però lo accoglie freddamente per tenere fede al voto di castità fatto in precedenza. Ma il buon frate morente la libera dal voto fatto. I due giovani possono finalmente sposarsi e dopo il matrimonio, celebrato da Don Abbondio, Renzo e Lucia si trasferiscono a Bergamo e qui, allietati dalla nascita di numerosi figli vivranno felicemente.
I Personaggi
I grandi protagonisti del romanzo sono gli umili in funzione dei quali sono ordinati i potenti e questa è la grande novità dei Promessi Sposi. Si tratta di un vero capovolgimento della disposizione tradizionale dei personaggi che vede al centro della storia, Renzo e Lucia, uomini semplici. Renzo e Lucia che sanno resistere ai soprusi dei potenti con la loro fede, la laboriosità, la solidarietà umana. I potenti che si distinguono in oppressori ed in soccorritori degli umili, a quest'ultima categoria appartengono i giusti, coloro cioè, che mettono i loro favori al servizio degli umili, esprimendo così, la loro grandezza autentica. E' il caso di fra Cristoforo, il cardinal Federigo, l'Innominato dopo la conversione.
Tra gli oppressori che cercano di travolgere gli umili sotto il peso del loro potere personale ci sono, don Rodrigo, il conte Attilio, Egidio, destinati ad essere travolti dagli eventi della storia e soggetti alla punizione divina. Nessuno, prima di Manzoni aveva subordinato i potenti agli umili, nessuno prima di lui si era concentrato sui personaggi del popolo, facendone i protagonisti del suo racconto, presentandoli in una luce positiva, esempi di altruismo, onestà, purezza, fede cristiana. Al contrario, tutto il negativo, la superbia, la corruzione e la violenza si concentrano nelle classi superiori. Nonostante questa superiorità di valori, il popolo va educato secondo un processo di maturazione evidente nel personaggio di Renzo. In questo senso il romanzo è un romanzo di formazione. La storia di Renzo descrive infatti un uomo del popolo che dal ribellismo iniziale, dalla furia cieca e irrazionale, dall'illusione della giustizia popolare arriva ad abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio. Renzo dice: « ho imparato a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza....» La maturazione di Renzo diventa un esempio. All'inizio del racconto il giovane popolano è convinto che il povero non debba rassegnarsi dinnanzi all'oppressione, ma debba agire per farsi giustizia, e dunque è pieno di rabbia e di ribellione per il sopruso subito da Don Rodrigo. Quest'atteggiamento di rivendicazione lo porta a mettersi nei guai con l'autorità poliziesca durante i tumulti di Milano. Ma proprio la disavventura milanese e la peste, additata da fra Cristoforo come il flagello di Dio che si abbatte a punire i potenti e a ristabilire la giustizia divina rendendo inutile l'agire umano, inducono Renzo ad abbandonare il suo atteggiamento e affidarsi totalmente a Dio. Alla fine della storia, proprio attraverso questa educazione e questa raggiunta consapevolezza Renzo ha potuto realizzare la sua promozione sociale e ha trovato la serenità con Lucia. Lucia invece possiede sin dall'inizio quelle verità e qualità che Renzo deve conquistarsi attraverso l'esperienza e così ella, attende, umile e rassegnata, l'aiuto del Signore. Che a ben vedere è la stessa condizione cui arriva Renzo alla fine del suo processo di maturazione quando rinuncia all'azione per rimettersi alla volontà del Signore.
La riflessione dei due sposi conclude il libro: «Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso perché ci si è dato ragione; ma che la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.» Dice Manzoni:
«Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiamo pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia ». E veramente la morale dei Promessi Sposi sembra trovarsi in quella sostituzione della sfiducia nell'agire umano dalla fiducia in Dio per una rigenerazione interiore.
Lo schema narrativo dei Promessi Sposi è comune: un matrimonio ostacolato, la separazione dei protagonisti e il lieto fine, ma nell'opera di Manzoni vi sono elementi innovativi. La vicenda privata dei personaggi umili, diviene pretesto per ricostruire la condizione umana della Lombardia intorno al 1630, sotto il dominio spagnolo, su tutto vige la Provvidenza Divina. Manzoni tratteggia un quadro negativo del seicento: dominato dal prevalere della violenza sulla legge e dall'arroganza dell'aristocrazia. L'analisi dell'autore va oltre gli eventi storici-sociali e si coglie le radici del male ed espone giudizi personale sugli eventi. La soluzione linguistica dell'edizione definitiva, caratterizzata da uno "stile medio" contribuisce a fare del romanzo la prima opera popolare della letteratura italiana.
Maria Giovanna Argentiero
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